Ragusa, 31 ottobre 2017 - "Non chiamatemi trans, sono una donna a tutto tondo. Il Gay Pride? È un baraccone. Vorrei un figlio, ma non trovo un compagno giusto dopo il divorzio. Il segretario Cesa e Terrana (il responsabile enti locali Udc) mi sostengono, ma se non verrò eletta, mi candiderò a sindaco di Vittoria". Roberta Giulia Mezzasalma, 45 anni, ristoratrice di Vittoria, ha deciso di scendere in politica, candidandosi alle Regionali in Sicilia nella lista dell’Udc. Fino al 1998 si chiamava Gianluca, poi ha scelto di ‘uscire’ da un corpo che non le era mai appartenuto e diventare donna.
Come fa a conciliare le sue scelte, non convenzionali, con quelle di un partito tradizionale e cattolico come quello di Cesa?
"Sono cattolica sfegatata, anche se non ho tempo di frequentare la chiesa perché il ristorante mi assorbe molto. Lo scorso anno Papa Francesco ha chiesto scusa a nome della Chiesa a tutti gli omosessuali e allora mi sono detta: perché non posso anche io mandare alla gente un messaggio altrettanto positivo con la mia candidatura?".
Chi l’ha contattata per entrare in lista?
"L’onorevole Carmelo Incardona (commissario provinciale Udc a Ragusa, ndr) è venuto al ristorante con la moglie e mi ha chiesto di candidarmi. Poi ci sono stati gli incoraggiamenti di Cesa e Terrana".
Se dovesse andarle male?
"Se non dovessi essere eletta, alle prossime amministrative mi candido a sindaco di Vittoria".
Lei ha annunciato di candidarsi con un videomessaggio, la sera dopo le hanno sfasciato l’auto. Una coincidenza?
"Un’infausta coincidenza. Intimidazione? No, direi uno stupido dispetto per i video satirici che avevo messo in rete dopo l’arresto dell’ex sindaco Nicosia e di due infermiere".
Roberta Giulia, più difficile candidarsi o dire a suo padre che voleva cambiare sesso?
"Sicuramente dirlo a mio padre. Lui era un classico siciliano, bastava uno sguardo per farti tremare... È rimasto ammutolito quando gli ho detto quella cosa, neanche una parola".
Lei è stata, quando era ancora uomo, ufficiale nel Genio Pionieri dell’esercito, il cui motto era ‘Per aspra via ad aspra meta’. In fondo è stata fedele a quel motto. Quali passaggi aspri che ha dovuto superare?
"A parte dirlo a mio padre, il divorzio da mio marito è stato un momento molto difficile".
Lei è stata sposata con Stefano. Perché quel rapporto è finito?
"Siamo stati insieme per otto anni, sposati per quattro. È finita perché lui un giorno mi ha detto che aveva un’altra donna, conosciuta in palestra. E poi perché sostanzialmente i suoi genitori non mi avevano mai accettato. Un altro passaggio aspro? Quando la sua facoltosa famiglia mi ha fatto ricoverare in manicomio, dicendo che ero diventata pazza".
Lei afferma: non chiamatemi trans. Si sente cioè donna a tutto tondo?
"Certo, lo dicono anche i miei documenti".
Ma ha anche aggiunto: ho vissuto la condizione di trans come una disgrazia. Attirandosi l’ira di associazioni Lgbt, come Arcigay. Vuole chiarire?
"Viviamo in una società in cui una trans viene sempre additata, la gente si dà di gomito. È una condizione terribile e disgraziata. L’Arcigay può dire quello che vuole, ma io lo ribadisco. È un marchio essere trans".
Sente la mancanza di un figlio?
"Moltissimo. Sento la mancanza della maternità, avere un figlio che ti coccola e sostiene. Senza un figlio la vita sembra senza senso, senza significato".
Che cosa pensa dei Gay Pride?
"Una baracconata. Vuoi fare una parata per difendere i tuoi diritti? Ok, ma non fare i carri di Carnevale".