La Plata (Argentina), 27 dicembre 2015 - Un altro duro colpo e un mistero doloroso che data quasi quarant’anni, dal colpo di Stato (29 marzo 1976) che portò il generale Jorge Rafael Videla alla guida dell’Argentina e fece nascere il dramma dei desaparecidos. Chicha Mariani, 92 anni, credeva di avere riabbracciato, la vigilia di Natale, la nipote che cercava dal 24 novembre 1976, e invece è stata truffata. «Non sappiamo come possa reagire, siamo molto preoccupati per la sua salute», dice l’avvocato della donna. Adesso bisogna capire perché Maria Elena Wehrlies, 39 anni, cameriera di Cordoba, ha tentato di accreditarsi, sapendo di non essere lei, per Clara Anahi Mariani Teruggi.
Di chiare origini italiane, Maria Isabel Chicha de Mariani è stata la fondatrice delle «Abuelas de Plaza de Mayo» – le nonne della piazza di Maggio, lo spiazzo davanti alla Casa Rosada, sede della presidenza della Repubblica argentina, dove i familiari dei desaparecidos manifestavano – e poi della Fondazione Anahi.
Decine di migliaia gli oppositori politici scomparsi fra il 1976 e il 1983, quando salì al potere, democraticamente eletto, Raul Ricardo Alfonsin. In quel periodo nacquero cinquecento bambini, figli di persone torturate, uccise e poi fatte sparire dai generali, molti buttati dagli aerei nei «voli della morte» sul Rio de La Plata.
I neonati venivano strappati alle famiglie e assegnati a poliziotti, militari e altre persone contigue al regime perché «crescessero sani e lontani da qualsiasi ideologia comunista e occidentale». Fra i cinquecento c’era appunto Clara Anahi Mariani Teruggi, figlia di Daniel Mariani, primogenito di Chicha, e di Diana Teruggi, famiglia piemontese, nata il 12 agosto 1976. Diana sarebbe stata uccisa in un blitz della polizia nel covo dei cosiddetti «sovversivi» il 24 novembre 1976, ma il suo corpo non è mai stato riconsegnato; Daniel scomparve il 1° agosto 1977 da una prigione; anch’egli è desaparecido. Clara, secondo le informazioni avute da Chicha, poteva essere stata adottata dalla famiglia dell’allora direttore del «Clarin».
Da quindici anni il Dna dei familiari dei bambini scomparsi viene raccolto dalla Banca nazionale dei dati genetici per confrontarlo con quello di chi si presenta alla Segreteria dei diritti umani pensando di poter essere uno dei neonati ai quali è stata cambiata la vita. Maria Elena Wehrlies a giugno – conferma Federico Tulli, autore di «Figli rubati» – aveva avuto risposta negativa. Ma a casa Mariani si è presentata con un certificato di un laboratorio privato di Cordoba che attestava la sua familiarita con la «abuela». Da qui l’abbraccio, la felicità di Chicha diramata su Facebook e quindi il brusco risveglio quando è intervenuta ufficialmente la Banca dei dati genetici. «Continuiamo a cercare la verità», dice l’avvocato Ramon Padilla. Le autorità hanno aperto un’inchiesta per capire a che gioco ha giocato Maria Elena.