Lunedì 13 Gennaio 2025
ALESSANDRO GALLO
Sport

Di corsa contro ogni ostacolo. "Questa era Ondina Valla, mia madre"

Cento anni fa nasceva la prima italiana d’oro alle Olimpiadi

Ondina Valla alle Olimpiadi di Berlino nel 1936

Bologna, 20 maggio 2016 - UNA MEDAGLIA d’oro, saltando tutti gli ostacoli, anche quelli della vita, per entrare nella leggenda dello sport italiano. Una vita sempre in anticipo sui tempi per consegnarsi alla storia del costume italiano. Cent’anni fa in via della Ferriera, a Santa Viola, prima periferia di Bologna, viene al mondo Trebisonda Valla. Il nome di battesimo può trarre in inganno, perché nell’olimpo dello sport ci entra con il soprannome di Ondina. Ondina Valla è la prima italiana a vincere un oro ai Giochi Olimpici, sugli 80 metri a ostacoli. Succede proprio ottant’anni fa, a Berlino. Quel 6 agosto 1936 si consuma l’ennesimo sgarbo nei confronti di Adolf Hitler, che dopo aver incassato lo smacco di Jesse Owens punta sulla beniamina di casa, l’ariana Anny Steuer. Al termine di un fotofinish da brividi, vittoria e oro vengono assegnati a Ondina. Successo importante, anche economicamente. Al rientro in Italia Benito Mussolini, che vuole una foto accanto alla ragazza, le fa pervenire un assegno di cinquemila lire. Ondina, che si sposa nel 1944 con il medico Guglielmo De Lucchi, muore il 16 ottobre 2006. E ci lascia, come eredità, anche il figlio Luigi.

De Lucchi, è stato complicato essere il figlio di Ondina? «No, è stato tutto molto semplice. Non si è mai messa in competizione con me».

Non l’ha spinta verso l’atletica? «Mi ha fatto praticare il salto in alto, ma più per divertimento. Senza particolari pressione».

Che genitore era? «Una mamma sempre presente, molto autonoma e dalla forte personalità. Forse perché è rimasta vedova molto presto».

Le ha fatto da padre dopo la scomparsa del babbo? «No, è stata discreta. Ma sapeva anche essere in anticipo sui tempi. Negli anni Sessanta la maggiore età coincideva con il compimento del ventunesimo anno. Lei, in anticipo sulla legge, mi emancipò e divenni maggiorenne a diciotto anni».

Mamma moderna, diceva. «Mamma e donna moderna. Si era sposata a Bologna. Fino al 1948 abbiamo vissuto lì. Poi, per seguire papà, ci trasferimmo in Abruzzo».

Dove papà inaugura una clinica ortopedica. «Papà era il medico. La mamma si occupava di tutto il resto. Era un manager ante-litteram. Faceva tutto, con passione e personalità».

Ci sono altri lati del carattere che ci fanno capire come fosse davvero nel futuro. «In Abruzzo, in quegli anni, non erano molte le donne ad avere la patente. Mamma non solo aveva la patente, ma girava al volante di una Renault cabrio. Non poteva passare inosservata».

Come aveva iniziato a correre? «Fu molto precoce. Si mise in luce nel salto in alto. A 12 anni superava già la misura di 1,10 metri. Poi passò a 1,30. A 13 anni fu notata in occasione di un saggio al Littoriale, oggi Dall’Ara di Bologna. Finì presto in Nazionale».

Avrebbe vinto tutto, oro olimpico compreso. Nonostante il trasferimento a L’Aquila non venne meno il legame con Bologna. «A Bologna c’erano tanti parenti. C’è una palazzina, in centro, dove abitano ancora i Valla, dove era cresciuta mamma».

Ci sono luoghi nei quali amava tornare? «Aveva una predilezione per la basilica di San Luca. Poco distante c’era un ristorante, gestito da una sua amica, Jolanda. Lì mangiavamo le tagliatelle. I tortellini li gustavamo in piazza Maggiore. Ma adorava le Due Torri: lì vicino, suo padre Gaetano, mio nonno, gestiva un’officina in qualità di fabbro, con i miei zii, Walter e Augusto. Mi fa piacere che, un secolo dopo la sua nascita, tanti si ricordino di lei».