Lunedì 9 Settembre 2024
SOFIA VENTURA
Politica

Non bastano gli spot: governare è altro

In questi mesi il premier si è occupato di mettere in scena i cambiamenti piuttosto che di realizzarli davvero

Matteo Renzi (Lapresse)

Matteo Renzi (Lapresse)

IL FENOMENO Renzi è il fenomeno di un nuovo leader apparso sulla scena per cambiare un paese bloccato e che ha raccolto forti consensi grazie a quella speranza. Ma dopo i primi mesi di governo la sua popolarità si è ridimensionata. Ora le regionali e le comunali hanno confermato che il vento in poppa non c’è più. Una leadership in crisi? O una leadership che tale non è mai stata? Dopo aver costruito il suo successo politico attraverso la sfida al suo partito, mostrando tratti come l’ambizione e la determinazione, il coraggio e l’originalità, una volta al governo Renzi ha rivelato un diverso volto.

Da un lato, si è preoccupato di creare e consolidare un proprio sistema di potere. Dall’altro, più che esercitare una vera leadership di governo, l’ha messa in scena. Con questo non si vuole intendere che nell’esecutivo non sia, sorretto dal suo alter ego femminile Boschi e dal fidato Lotti, il dominus assoluto. Si vuole, piuttosto, rimarcare che pur essendo intervenuto su tanti tavoli, in realtà ha messo in campo una serie di interventi spot, accompagnati da promesse mirabolanti, senza una visione coerente, poco ragionati, ma molto strombazzati, (dalla riforma del Senato al Jobs Act, dalla legge elettorale alla Buona scuola), che nella loro logica hanno incamerato principi che riformatori e liberali possono condividere in generale, ma interpretati in modo semplicistico, banale, con scarsa attenzione ai dati dell’esperienza e alle possibili ricadute future. In altri termini, la preoccupazione maggiore è stata quella di «rappresentare» il cambiamento, piuttosto che operare per realizzarlo. Inoltre, accanto a questo allestimento scenografico e coreografico, si è rinunciato ad affrontare di petto questioni cruciali come la spesa pubblica e il fisco. Insomma, nonostante le dichiarazioni di coraggio, vi è stata la tendenza a «giocare facile».

Analogamente, sul fronte del partito Renzi ha costruito il plot del leader innovatore che deve sopportare le resistenze di una minoranza restia al cambiamento, ma non è intervenuto sul corpo della sua organizzazione (spesso adagiandosi sull’esistente) e su seri problemi che via via si presentavano: dalle primarie liguri al caso De Luca, a quello di Mafia Capitale.

LE VICENDE di queste settimane relative agli immigrati provenienti dal Nord Africa costituiscono un’ulteriore dimostrazione di questa assenza di leadership. La questione è enorme e di non facile risoluzione, ma invece di parlare al Paese con la sincerità e gravità adeguate e al contempo mettere in atto misure che consentano di intervenire prontamente sull’emergenza, si è preferito lasciarsi andare a un susseguirsi di boutade, fughe in avanti e arretramenti, scaricabarile, piani B e pugni sul tavolo. Certo, uno sguardo comparato mostra che in giro per l’Europa non si stagliano grandi leadership, ma, nel nostro caso, e nel paese della commedia dell’arte, il divario tra messa in scena e realtà appare davvero ampio. Lo spettacolo c’è, ma la leadership di governo è un’altra cosa. E un certo numero di italiani pare se ne stia accorgendo.