Giovedì 10 Ottobre 2024
PAOLA SEVERINI MELOGRANI
Magazine

Nobili si nasce, Totò lo divenne. Il conte che aiutò il principe De Curtis

Ex repubblichino, colto e intraprendente: ecco l'araldista Pelliccioni

Totò in un'immagine di repertorio

Totò in un'immagine di repertorio

LUCIANO Pelliccioni di Poli, conte di Montecocullo, era nato nel 1923 e aveva quindi 25 anni meno del grande Totò, quando lo conobbe, nel 1949, grazie alla presentazione di Flora Torregiani, ballerina piccante e spiritosa (e pure nobildonna) attrice in “Totò Le Mokò”, e in quel tempo fidanzata del giovane Pelliccioni. Lui, affascinante reduce (del tipo bello e dannato) della Repubblica di Salò, a causa di quella militanza fece un anno di galera subito dopo la fine della guerra, accusato di aver fatto uccidere, nella sua veste di vicequestore di Rieti, la spia inglese Monni (chiamato anche Stella), che invece si scoprì poi essere stato assassinato dal Mostro di Nerola. Ma tant’è, la prigione se la fece lo stesso e da ex fascista non fu mai riabilitato.

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L’incontro tra l’attore e il giovane repubblichino, sembra uscito dalla sceneggiatura di un film di Totò. La passione di Antonio de Curtis nei confronti dei titoli nobiliari e la voglia di affrancarsi da un’ infanzia come figlio di N.N., lo aveva portato a conoscere, e pagare profumatamente, moltissimi araldisti o pseudo ricercatori, alcuni dei quali finirono poi addirittura per ricattarlo. Nel 1945, dopo un iter cominciato nel ’41, il tribunale di Napoli gli riconosce comunque il titolo di principe, con sentenza del 18 luglio.

Iniziano violente contestazioni da parte dell’aristocrazia italiana, che sfociano in una serie di cause legali, assai dolorose per l’uomo totò che non guarì mai dal ricordo di un’ infanzia difficile. Ha bisogno di trovare qualcuno che possa dimostrare inoppugnabilmente che lui “signore lo nacque” e comincia quindi la sua ricerca, accompagnato dal fido cugino Eduardo Clemente e dall’avvocato Eugenio De Simone. La bellissima Flora, certamente allora innamorata di Luciano che aveva fascino da vendere (ma che era pure povero in canna, visto che da fascista non pentito nessuno gli dava da lavorare) lo condusse, per aiutarlo, dal divo Totò e lui comprese subito che questo ragazzo era più colto e preparato di tutti coloro che l’avevano preceduto.

Da quel momento, per diciotto anni, sarebbe stata l’araldista del Principe, il suo consigliere, uno dei pochi ammessi alla sua casa, e probabilmente uno dei suoi pochissimi amici. Non si diedero mai del tu: Pelliccioni era l’uomo più diverso da Totò che potesse esistere. Totò era nato poverissimo nei bassi di Napoli, da una ragazza madre, Luciano proveniva invece da un’importante ed ex ricca famiglia romana, distrutta dall’ultimo conflitto ma che ancora conservava comportamenti e stile ante prima guerra mondiale. Era intraprendente, affascinante, di bell’aspetto, parlava quattro lingue (anche il latino), e assolutamente pronto a lanciarsi in una avventura come quella. Luciano aveva la passione dell’araldica fino da bambino, da quando aveva cominciato a lavorare sull’archivio familiare dei conti di Poli ora depositato all’Archivio di Stato (e iniziò allora una sterminata collezione di volumi di araldica e che oggi può essere consultata presso la Biblioteca dello Stato Maggiore dell’Esercito, grazie alla generosa donazione della sua vedova). Era un uomo assolutamente geniale e profondamente leale e Totò, che non era mai stato fascista, apprezzava del giovane questo suo atteggiamento di fedeltà e il fatto che nonostante la difficilissima situazione di bisogno, non avesse mai voluto rinnegare i suoi camerati.

Pelliccioni farà stravincere al principe tutte le cause, che si trascineranno dal ’49 fino all’inizio degli anni Sessanta, e diventerà il consulente “culturale” dell’attore, non soltanto nell’ambito araldico ma nella storia del nostro paese. Ogni domenica, a mezzogiorno in punto, Pelliccioni è dal Principe: mangiano insieme - pochissimo - Totò era parco nel cibo e in compenso fumava 90 sigarette al giorno, una della cause della morte a nemmeno 69 anni; così poco che Clemente e Pelliccioni sono costretti a farsi un panino di nascosto se non una pastasciutta in trattoria... e parlano, parlano, parlano: anzi è Pelliccioni che racconta col suo fare incantatore, per esempio, la “vera storia della bacchetta magica”, il “romanzo dei Templari”, dov’è secondo lui custodito il Sacro Graal. Luciano ha appena avuto una bimba, che chiama Valeria, come la sorella pianista morta a soli 16 anni; Totò lo aiuta economicamente davvero moltissimo e questo Pelliccioni, anche quando diverrà il numero uno degli araldisti italiani, non lo dimenticherà mai. Arriveranno insieme a decidere di coniare addirittura monete d’oro con l’effigie di Totò da una faccia e dall’altra l’aquila bipenne sormontata da una corona, divertendosi in realtà come due ragazzini.

Luciano, che è diventato talmente famoso grazie a questo incarico da essere richiesto come consulente addirittura dal governo degli Stati Uniti per approfondire, attraverso la ricerca sulla “schiatta Geraldini”, la storia familiare del presidente di allora, John Fitzgerald (Geraldini) Kennedy, sarà sempre riconoscente al suo scopritore e dedicherà fino alla fine le sue “domeniche a viale Monti Parioli 4” ad Antonio Focas Flavio Comneno Principe di Bisanzio, rifiutando altri emolumenti se non un orologio Tudor di acciaio (comperato da Totò in svizzera) che indosserà fino alla sua morte, avvenuta nel 2004 a Roma, e i famosi punzoni che sono serviti per l’ultimo divertissement, quello delle monete d’oro.