Roma, 13 novembre 2016 - Silvio Orlando, il cardinale Voiello della serie Young Pope, confida di vivere un periodo felice della sua vita. Eppure, a partire da oggi l’attore debutta in prima nazionale al Teatro Civico di Tortona con “Lacci”, adattato per la scena da Domenico Starnone e tratto dal suo omonimo romanzo, un testo amarissimo su un matrimonio “scoppiato”. Dopo la prima a Tortona (nel cartellone programmato dalla Fondazione Piemonte Dal Vivo), lo spettacolo con la regia di Armando Pugliese – di cui Orlando è anche produttore – girerà l’Italia toccando una ventina di piazze tra cui Napoli (6 dicembre), Milano (13 dicembre) e poi Roma (25 gennaio).
Orlando, che le succede: ha paura di essere felice e si butta su testi dagli effetti collaterali?
«È l’invidia degli dei che ci precipitano nella sofferenza nel momento di nostra maggiore felicità. Succede anche nei film. Il ruolo è doloroso, certo, ma c’è una grande gioia nel farlo». Come è stato il ritorno con Starnone?
«Erano 24 anni che ci cercavamo, dopo ‘La Scuola’».
In “Lacci” la famiglia è il peggior luogo dove far crescere i sentimenti…
«La tesi dello spettacolo è radicale, ma non mi sembra ci siano punti di vista definitivi. Credo, tuttavia, che segnali un problema».
Quale?
«Basta leggere la cronaca nera: prima se avveniva un omicidio o un femminicidio, si puntava il dito verso l’immigrato. Oggi si cerca subito il marito, la moglie, i parenti stretti. Spesso mettiamo le grate alle finestre e ci chiudiamo dentro con l’assassino. Il problema vero è come vivere assieme e condividere un luogo senza annientarsi».
Il Cardinale Voiello, che ha interpretato in ‘Young Pope’, quanto le assomiglia?
«Io non sono e non sarò mai un uomo di potere. Il potere mi spaventa e non mi piace. Il piccolo potere che esercitavo da regista a o da capocomico, beh anche quello lo gestivo male perché per essere un vero uomo di potere bisogna stare in silenzio, non dire le cose, tenerle per sé, essere misteriosi. Mia moglie mi rimprovera: tu dici sempre tutto, sei un libro aperto. Io comunico troppo le mie fragilità, non potrei mai essere come Voiello».
Come si è preparato a vestire i panni di un potente senza scrupoli?
«Avevo il miglior sceneggiatore italiano, le istruzioni per l’uso c’erano tutte. Paolo Sorrentino è lo sceneggiatore che oggi ha la penna più felice, una scrittura nuova, nervosa e densa. Non potevo sbagliare».
Ci sono zone d’ombra nei suoi rapporti con Sorrentino?
«C’è una frase nella prima puntata di Young Pope che spiega il mio comportamento: i rapporti amichevoli sono ambigui e pericolosi e terminano in malo modo. I rapporti formali hanno regole scolpite nella pietra e sono destinati a durare per sempre».
Quindi solo rapporti formali con il premio Oscar?
«Con i registi non mi sono mai illuso di essere loro amico. Sono a lungo sopravvissuto con Nanni Moretti, caso rarissimo tra gli attori, per questo motivo. Sorrentino è una persona molto piacevole, conviviale, ci siamo frequentati, ma non m’illudo di diventare suo amico. Sul set, poi, lui è molto determinato, non lascia spazio ai dibattiti o alle paturnie degli attori. Anzi potrei dire che le insicurezze degli attori lo disturbano”.
Ho sentito che le sarebbe piaciuto fare due cose: sciare e imparare l’inglese. Almeno quest’ultima l’ha fatta in Young Pope.
«Ho imparato il copione, non l’inglese, è una cosa diversa. Mi sono applicato su quello, la mia generazione ha avuto problemi con le lingue. La cosa fondamentale era di non perdere le mie corde di attore, i miei colori per stare dietro all’inglese. Penso di esserci riuscito».
Fa poca televisione, perché?
«Non lavoro in Rai da 25 anni, forse oggi in televisione serve altro: la moda in tv è che i protagonisti devono essere molto belli e giovani. Questo mi allontana dagli standard».
A che punto è il progetto di portare sul palcoscenico Napoli Milionaria?
«Ci stiamo lavorando, ma ora bisogna pensare alla seconda serie di Young Pope le cui riprese partono in estate».
Come ha vissuto l’elezione di Donald Trump?
«La mia sensazione è che ormai ci sia un mondo sommerso di cui pochi riescono a capirne e interpretarne gli umori. Un grumo di rabbia e insoddisfazioni che élite culturali, politiche ed economiche non riescono ad ascoltare. E’ sicuramente un virus di cui non si è trovato un vaccino. Per me tutto nasce dall’impossibilità di redistribuire il reddito: ci sono forme misteriose di ricchezza che creano distanze enormi e ognuno resta solo con la propria infelicità».
Come la Anna Karenina di Tolstoj.
«Eh eh, sì, mi copia».