Milano, 5 gennaio 2017 - SI DICE che contraltare del genio sia la sregolatezza. Non conosco personalmente Lapo Elkann, ma mi è sempre stato simpatico: mi piacciono i suoi abiti stravaganti, le personalizzazioni dei suoi oggetti, le fuoriserie zebrate, i suoi congiuntivi scivolati. Sapete perché? Perché trovo che dietro queste esternazioni ci sia un animo esuberante, mosso dalla genuina passione, dall’impellenza di comunicare e, forse, dalla voglia di mostrare agli altri una faccia della sua personale medaglia che spesso viene dimenticata.
Peggio assai sarebbe se questi modi da eccentrico – e piacevole – guascone fossero dettati dall’arroganza di chi possiede. Non nego che le foto di Lapo al funerale della giornalista Franca Sozzani a Portofino, mi abbiano indotto ancor più a riflettere: il viso tirato, un cerotto in fronte qualche ruga in più di vergogna, gli occhi cerchiati di solitudine. Ho visto, in quello sguardo avvilito, la sofferenza di un uomo solo. Abbandonato anche dagli affetti più cari dopo l’ultima ‘marachella’.
ECCO, dirà qualcuno, ben gli sta al rampollo di sangue ‘reale’: che impari quanto costano cari i vizi. Nella condanna un po’ bacchettona e perbenista c’è da ammettere che Lapo si è sempre giocato del suo: della sua salute, della sua integrità, della sua reputazione.
E poco o nulla ha chiesto alla società, se non il libero esercizio del gossip e lo sfottò mediatico che ancora ingorga la rete. Eppure, quando si diceva che dietro all’utilitaria della rinascita, alla felpa zippata, alla ricostruzione grafica del marchio, ci fosse il suo zampino, il suo genio faceva comodo alla nazione intera.
Ecco, se Lapo fosse una rock star gli sarebbero perdonate tutte le scappatelle e, invece di puntare il dito, saremmo a preoccuparci del suo precario stato di salute, fisica o mentale che sia. Perché cadere – e ricadere – in certi eccessi denota sicuramente problemi umorali che nessuno strizzacervelli trascurerebbe mai.
CON QUESTO non voglio richiamare attenuanti per un processo che non sono titolato a istruire. Sto solo rivolgendovi la domanda alla quale vi invito a rispondere con sincerità: se Lapo fosse un nostro familiare, quale comportamento terremmo? Lo metteremmo alla porta o proveremmo a capire dove risiede l’errore?
Si tratta di un errore pericoloso che già una volta ha portato il giovane Elkann a un passo dal baratro. Perdere il controllo è una brutta cosa, qualsiasi sia il motivo. Scommetto che per un virgulto di tal stirpe ci sono migliaia di perfide Grimilde pronte a fornire la mela avvelenata che induce all’oblio dei sensi. E ci sono persone che, pur conoscendo i rischi, sono pronte a divorare la mela sino al torsolo.
POSSO dire che cosa vorrei io? Vorrei rivedere gli occhi brillanti quando sbagliano i congiuntivi, la passione nel creare e nel credere in ciò che si è fatto, vorrei rivedere la fiducia spazzare via la solitudine. Lapo è uno dei nostri ragazzi. Un emblema dei mali che li assillano, una cartina di tornasole sul modo meno difficile per sfuggire alla noia d’esistere. Ha sbagliato, è vero. Ed è inutile chiedergli spergiuri perché non lo faccia più se, noi per primi, non faremo nulla per tenere lontano da lui Grimilde e la sua mela stregata.