Bologna, 26 gennaio 2017 - AVRETE forse visto in video (o live) le sue performance di boxe e pittura, dove, tirando pugni a una tela, imprime chiazze di colore e dà vita a un dipinto. Sono intense e sapientemente dirette, perché Omar Hassan, 29 anni, artista milanese cresciuto a Lambrate da madre italiana e padre egiziano, e da domani al Royal Hotel Carlton di Bologna (inaugurazione alle 18,30) con le opere della serie “Breaking Through” e “Injection” oltre ad alcune sculture, da 14 anni porta avanti la sua passione per il pugilato. A livello professionale, Hassan ha dovuto abbandonare le competizioni per problemi di salute e a causa del diabete che però lo ha “obbligato” a dedicarsi completamente a una sua personalissima forma d’arte.
Le esperienze sul ring ma anche di street art, sono la cifra di un artista che pare avere come chiodo fisso solo quello dell’evoluzione, come se la vita fosse una prova da superare continuamente.
Hassan, nel suo percorso artistico è arrivata prima la Strada o l’Accademia?
«Ho sempre disegnato fin da piccolo e ad un certo punto sono stato coinvolto da amici che scrivevano sui muri, ma non ho mai avuto una “tag”. Non mi interessava l’adrenalina del writer e infatti mi sono iscritto all’Accademia di Brera, per sviluppare la mia attitudine di figurativo e scultore interessato agli interventi urbani e per studiare la storia dell’Arte, così da capire come farne parte».
Pittura è una parola che pronuncia spesso, a modo suo, però. Quale?
«Ho sempre amato la pittura e mi piace lavorare per mantenerla contemporanea, perché spesso se ne ha una visione distorta, immaginando appunto il pittore impallato davanti al cavalletto. Ad un certo punto cercavo un gesto pittorico di sintesi che potesse raccontare un’intera filosofia, la mia, e l’ho trovato. Amo molto Pollock che schizzava la tela, Fontana che la tagliava... ecco io tiro pugni e spero che sia riconosciuto come gesto».
Però usa anche la bomboletta spray che è alla base di “Injection”.
«La bomboletta è il gesto che mi recupera la street art, quell’agitare la bomboletta e fare un pallino ne è il punto di partenza, anche se il mio interesse principale, ora, è dipingere la luce attorno a questo gesto».
Di tutte le sue opere colpisce anche l’uso del colore. È il grande protagonista?
«Ne utilizzo molto, perché è il linguaggio più semplice per avvicinare tutti e mi permette una ricerca. Ma può essere un’arma a doppio taglio, perché si cade facilmente nel bel decoro adombrando la ricerca appunto, quindi bisogna stare attenti. Poi però mi dico che, se guardando un mio quadro una persona sospira, beh, per me va bene così».
All’interno della mostra vedremo anche un’altra opera, un paio di scarpe “drippate” per dirla alla Pollock, ovvero schizzate di colore. Come nasce?
«Sono stato contattato dai due ideatori del brand bolognese Fanga e mi ha colpito il loro entusiasmo di giovani imprenditori che si mettono alla prova con un progetto così contemporaneo, ne ho colto l’energia e ho indossato le “Raffaello”, scarpe realizzate interamente a mano, mentre dipingevo su una pelle di vitello non trattata un’opera “Breaking Through”, e la vernice gocciolava».