Martedì 5 Novembre 2024
VIVIANA PONCHIA
Magazine

"Dalì è mio padre". La salma del pittore sarà riesumata

Una donna spagnola sostiene di essere la figlia dell'esponente del surrealismo. Sarà il Dna a stabilire la verità

Salvador Dalì e Maria Pilar Abel Martìnez, che sostiene di essere sua figlia

Salvador Dalì e Maria Pilar Abel Martìnez, che sostiene di essere sua figlia

Madrid, 27 giugno 2017 - A sei anni voleva diventare cuoco. A sette Napoleone. L’età della ragione lo convinse che non c’era ambizione più alta che diventare Salvador Dalì. Fu pittore, scultore, scrittore, cineasta, designer. Le bizzarrie delle sue opere tennero il passo con una vita altrettanto strana ma l’ultimo capitolo forse è il più clamoroso. Vogliono disseppellirlo. Strapparlo alla pace mai trovata da vivo per controllargli il Dna e verificare che non abbia lasciato per strada una figlia. Una giudice di Madrid ha disposto la riesumazione del suo corpo perché tale Maria Pilar Abel Martìnez rivendica di avere come papà il padre del surrealismo, morto per un colpo apoplettico il 23 gennaio 1989 e sepolto a Figueres, in Spagna. Non esistono altri resti biologici o oggetti personali, l’unica è la prova biologica con quel tanto di macabro che certe operazioni comportano. 

A portare la donna nata nel ’56 a caccia dei propri geni è la convinzione che il pittore catalano abbia avuto nel 1955 una relazione con una cameriera, sua madre, domestica in una facoltosa famiglia in vacanza a Cadaques, sulla Costa Brava, dove viveva Dalì. Intanto ha fatto causa alla Fondazione Gala Dalì e al Ministero delle Finanze spagnolo in quanto eredi legali, scordando il motto del presunto genitore: «Tutto influisce su di me, niente mi cambia». Figurarsi ora.  Ma molto potrebbe cambiare nella vita della signora, che a luglio scoprirà la verità insieme al resto del mondo davanti alle spoglie conservate nel basamento del teatro-Museo dedicato a uno dei più eccentrici personaggi che abbiano attraversato il Novecento. Questa, in attesa del Dna, è la prova che non basta essere passati dall’altra parte per blindare la propria storia. 

L’avventura con la domestica e l’eventuale maternità aggiungerebbero un ulteriore tassello a una vita sentimentale dominata dalla figura salvifica della moglie, incontrata in mezzo a un gruppo di surrealisti guidati da Luis Bunuel nell’estate del 1929. Il gruppo era corso in Catalogna per verificare di persona quanto di vero ci fosse sulle stramberie di Dalì. Sbarcarono fra gli altri René Magritte e Paul Eluard, padre spirituale del movimento, tutti con mogli al seguito. La moglie di Eluard si chiamava Helena Diakonova, più comunemente nota come Gala, e disgraziatamente incarnava tutti i sogni che il pittore aveva coltivato in materia di desiderio. Quando la banda fece ritorno a Parigi Gala rimase a Cadaques dove Salvador trovò il modo di scrollarsi di dosso le accuse di coprofagia e poi dichiararle sulla scogliera di Capo Creuso amore eterno e incondizionato, come effettivamente fu. 

Fu lei, a sentire lui, l’unica in grado di restituirgli l’equilibrio mentale. In realtà il loro rapporto si risolse in un dominio della donna sull’artista, una relazione fatta di necessità e dipendenza. Era il suo sosia, il suo doppio, il suo gemello. Nel 1972 le regalò un castello a Pùbol di cui poi venne nominato marchese e in cui dopo la morte dell’adorata divoratrice, nel 1983, cadde in depressione. E dunque la cameriera? La sensualità femminile attraversa tutta l’opera di Dalì assieme al tempo e al cibo, ma la donna e i misteri del suo corpo venivano rinchiusi nei cassetti per la gioia di Freud. 

Gala fu amante, moglie e musa per tutta la vita. Lei tradiva, lui magari si infatuava, ma tra Ney York, Parigi e la Spagna restarono legati fino alla fine. L’unica altra donna importante fu Amanda Lear, incontrata in un locale notturno quando ancora faceva l’indossatrice, definita pupilla e musa. Dalle spoglie del genio inquieto potrebbe venire fuori un’altra storia. Maria Pilar seppe dell’identità del padre biologico dalla nonna paterna che le disse: «Non sei figlia di mio figlio ma di un famoso pittore, però ti voglio bene lo stesso».  La battaglia per il riconoscimento ebbe inizio nel 2007 ma ci sono voluti dieci anni prima che la magistratura iberica le desse ragione. Se il Dna darà conferma Pilar non erediterà solo il prestigioso cognome ma anche tutti i diritti d’autore.