Sabato 6 Luglio 2024
GIOVANNI BOGANI
Magazine

Amy Adams incanta al Giffoni festival. "Meglio la felicità del successo"

La star al festival internazionale del cinema per l'infanzia e l'adolescenza. "Ragazzi, imparate a vivere in armonia"

Amy Adams al giffoni film festival (Ansa)

Amy Adams al giffoni film festival (Ansa)

Roma, 19 luglio 2017 - Sono in centinaia ad aspettarla: ragazzi arrivati dal Canada, dall’Iran, dalla Corea o dalla vicina Salerno. Pronti a fare le loro domande, in un inglese spesso sorprendentemente pulito e corretto. Sono i ragazzi del Giffoni Experience, il festival internazionale di cinema per l’infanzia e l’adolescenza. Lei è Amy Adams. Eroina disneyana (“Come d’incanto”) e femme fatale (“American Hustle”), artista soggiogata dal marito (“Big Eyes”) e linguista in contatto con gli alieni (“Arrival”). Una delle poche quarantenni in grado di tenere in piedi, da sola, un film. Cinque nomination all’Oscar, vari altri premi vinti in giro per il mondo. Grandi occhi blu e ora niente abbronzatura per lei, nonostante i giorni passati in Costiera amalfitana, fra Amalfi e Ravello.

Inizia in Italia, curiosamente, la sua storia. Nasce a Vicenza, per via del padre militare alla base Nato di Aviano. Poi i suoi, avventisti del Settimo giorno, divorziano quando lei ha undici anni: Amy torna in Colorado, sogna di fare la ballerina, lavora come commessa, fa provini su provini come attrice. E in onore di quell’infanzia veneta, ha chiamato Aviana la figlia che ha avuto dall’artista Darren LeGallo, da quindici anni suo compagno. Darren e Aviana sono in sala, quando Amy arriva.

Amy, quale è stata la molla iniziale per recitare?

«La chimica! Nel senso che ho fallito il pre-esame di chimica per iscrivermi a Medicina. E allora, mi sono detta, proviamo con la recitazione».

Gli inizi non sono stati tutti rose e fiori…

«Quando sono andata a Los Angeles avevo 24 anni, e piangevo tutti i giorni. Poi ho imparato a farmi la pelle più dura. Adesso non mi sconvolge niente».

Lei ha iniziato facendo danza, poi teatromusicale. Quando ha capito di essere un’attrice?

«Forse, di poter dire che sono un’attrice, l’ho capito l’anno scorso. Molte volte ho pensato di mollare. C’è voluto molto tempo, e molti rifiuti, per arrivare fin qui. I rifiuti ti fanno diventare insicura. Invece tu devi insistere, non prenderla mai come una bocciatura personale».

Che cosa è il successo?

«È qualcosa di molto personale. Non contano poi troppo gli altri: se riesci a vivere il tuo mestiere con passione, a essere concentrata e appassionata, allora sei anche felice. Ogni tanto è meglio fermarsi, fare il punto della situazione e capire se la carriera che si sta facendo sta andando nella direzione che si desidera. A volte può sembrare che abbiamo successo ma invece non siamo felici. Essere felici è il vero successo».

Cambierebbe qualcosa nella sua vita?

«Un paio di fidanzati!».

Esiste ancora il sessismo a Hollywood?

«Sì, ma non riguarda solo Hollywood. Un no detto da un uomo è un no, un no detto da una donna sembra l’inizio di una conversazione…».

C’è un film che non rifarebbe, la cui lavorazione è stata particolarmente difficile per lei?

«In realtà, il film che mi ha fatto più soffrire è uno di quelli che il pubblico ha amato di più. E io stessa posso dire di avere imparato da quella esperienza: ho imparato a dividere la vita e il lavoro». Il titolo del film non lo dice, ma si tratta di “American Hustle” di David O. Russell. Pare che il regista la abbia fatta piangere più di una volta, e che il coprotagonista Christian Bale si sia messo a brutto muso di fronte al regista per impedirgli di trattarla così male.

Come è cambiato il suo approccio al lavoro di attrice, allo stress che comporta?

«È cambiato moltissimo da quando ho avuto mia figlia. Adesso, qualunque cosa succeda, so che alla fine della giornata tornerò a casa a leggere fiabe a mia figlia. E il personaggio che interpreto, e tutti gli stress che comporta, rimarranno fuori».

Che cosa si prefigge nel futuro?

«Vorrei raccontare sempre più storie che possano aiutare la gente. Anche “Arrival”, che può essere preso come un film di intrattenimento, muove un messaggio di comprensione fra esseri diversi. Di pace. Credo che le generazioni attuali non abbiano capito quanto sia importante vivere in armonia. Spero nei ragazzi, nelle generazioni future, come i ragazzi di Giffoni».