Sabato 23 Novembre 2024
REDAZIONE ESTERI

Libia, giallo sugli italiani uccisi. "Non erano in mano all'Isis"

Secondo fonti degli 007 italiani, i 4 dipendenti della Bonatti fino a pochi giorni fa erano prigionieri delle milizie locali, non dei jihadisti

Fausto Piano mentre lavorava in Libia per la Bonatti (Ansa)

Fausto Piano mentre lavorava in Libia per la Bonatti (Ansa)

Roma, 3 marzo 2016  - Una vicenda con diversi lati oscuri, quella dei 4 italiani rapiti in Libia lo scorso luglio, sette mesi fa. Due di loro, Fausto Piano e Salvatore Failla, sarebbero stati uccisi oggi a Sabrata, durante un traferimento. L'eventualità è stata comunicata dalla Farnesina che sta compiendo verifiche sul caso. "Usati come scudi umani dall'Isis", rivelano alcune fonti. I due sarebbero stati dunque prigionieri dei jihadisti. Versione che perà stride con le informazioni filtrate dai servizi segreti italiani. I 4 dipendenti dell'azienda Bonatti di Parma, secondo i nostri 007, non erano nelle mani dell'Isis. Almeno fino a pochi giorni fa. 

IL RAPIMENTO - Failla e Piano erano stati rapiti ad altri due dipendenti della Bonatti il 19 luglio 2015 nella zona di Mellitah, a 60 chilometri da Tripoli, mentre rientravano dalla Tunisia. Piano, 60 anni, era originario di Capoterra, vicino a Cagliari, mentre Failla, 47 anni, era siracusano. Gli altri ostaggi sono Gino Pollicardo, 55enne ligure di Monterosso, e il 65enne Filippo Calcagno di Enna.

I LATI OSCURI - Le dinamiche del rapimento non sono mai state chiarite del tutto, vista la difficile condizione in cui versa il Paese nordafricano e la mancanza di una rivendicazione. Nella zona era attivo l'Esecito delle tribù (Jeis al Qabail), una milizia tribale ostili ai miliziani islamici di Alba libica (Fajr) che controllano Tripoli. Ma si è parlato anche di un coinvolgimento dell'Isis o dell'atto di banditi che volevano chiedere un riscatto. Smentita invece l'ipotesi di una vendetta degli scafisti per gli arresti eseguiti in Libia pochi giorni prima del sequestro. La Farnesina, già prima del rapimento, aveva invitato tutti i connazionali a lasciare il Paese evidenziando l'estrema difficoltà della Libia (nel febbraio 2015 era anche stata chiusa l'ambasciata a Tripoli). Gli ostaggi occidentali sono un bene molto prezioso in Libia. Possono essere utilizzati per chiedere un riscatto in denaro, ma non solo. Ci sono infatti anche gruppi islamisti interessati ad avere dei riconoscimenti 'politici', non solo soldi. Circostanza, questa, che rende ancora più complicate le trattative per il rilascio, che spesso passano per diversi mediatori, la cui attendibilità va valutata. Potrebbe essere stato questo il caso degli italiani.

LE TRATTATIVE - Nel corso di lunghi mesi di trattative e ricerca del canale giusto si sono seguite a volte false piste e buchi nell'acqua che non hanno portato alla soluzione del difficile caso. E ci sarebbe stato anche un avvicendamento degli uomini dell'Aise che si occupavano del sequestro. Nei mesi scorsi è circolata, senza conferme, la voce che i rapitori avessero contattato le famiglie degli ostaggi chiedendo alcune condizioni per la loro liberazione.  Oggi, la notizia della probabile uccisione dei nostri due connazionali. Proprio mentre si parla di un possibile intervento in Libia, con una coalizione guidata dagli italiani.