Milano, 29 agosto 2014 - Le notizie sull'inchiesta della procura di Venezia nei confronti di cinque persone accusate di reclutare combattenti per la Jihad tra immigrati di seconda generazione e italiani convertiti all'Islam. Quelle filtrate dalla procura di Milano, dove da due anni sarebbe aperto un fascicolo che vede ad oggi quattro siriani indagati. Negli ultimi giorni è emerso chiaramente come anche in Italia le attività di monitoraggio e controllo e l'allerta per i nuovi potenziali risvolti che - a partire da quanto sta accadendo in Siria ed in Iraq - va assumendo la minaccia del terrorismo internazionale siano al massimo livello. Dall'interno dei Ros dei carabinieri, impegnati nell'inchiesta in Veneto e protagonisti delle principali operazioni contro cellule della Jihad nel nostro Paese negli anni passati, arriva però l'invito a inquadrare correttamente le proporzioni del fenomeno dei combattenti reclutati a casa nostra e del pericolo rappresentato dall'homegrown terrorism, cioè dagli attacchi portati da terroristi nati e cresciuti in un Paese occidentale. "In Italia non esistono, per il momento, una seconda e una terza generazione strutturate e forti come ad esempio nel Nord Europa e in Gran Bretagna". Questa la sostanza del messaggio proposto da una fonte del reparto operativo speciale dei carabinieri. "Da una parte, nel caso del nostro Paese, abbiamo ancora nella maggioranza dei casi un cittadino non italiano che parte per Siria o Iraq e quando torna è più facile da individuare e monitorare. Dall'altra parte abbiamo cittadini inglesi a tutti gli effetti, con passaporto e documenti in regola". Ed è questa la cosa che spaventa di più perché di difficile individuazione.
L'ultima indagine importante in ordine di tempo, condotta dalla procura di Bari e sfociata ad aprile 2013 nell'operazione 'Masrah' dei Ros con sei arresti e lo smantellamento di una presunta cellula jihadista con base operativa in un un call center di Andria, ha portato ad esempio alla luce un modello organizzativo ancora 'vecchio stampo'. Un modello, spiega la fonte del Ros, basato su luoghi fisici di aggregazione e proselitismo, portato alla luce per esempio anni fa dalla famosa inchiesta per associazione a delinquere finalizzata al terrorismo internazionale che ha coinvolto l'ex imam di viale Jenner Abu Omar e una decina di altre persone legate all'epoca alla moschea milanese. E' vero, però, che prima dell'operazione Masrah - con l'arresto di presunti appartenenti a una cellula di terroristi jihadisti tra Puglia, Lombardia, Sicilia e Belgio - altre indagini hanno portato alla luce l'esistenza di giovani cresciuti in Italia accusati di progettare attentati nel nostro Paese. Soggetti che, spiegano gli inquirenti, sostituiscono i centri di aggregazione tradizionali, identificati e identificabili, con i social network e Facebook. E' il caso, in base alle ricostruzioni fornite da chi ha svolto le indagini (la Digos), del presunto 'terrorista di Vobarno', comune della Val Sabbia in provincia di Brescia. Si tratta di Anas El Abboubi, studente marocchino poco più che ventenne, da una quindicina d'anni residente con la famiglia in Italia e arrestato nel giugno 2013 con l'accusa di terrorismo internazionale ma scarcerato dopo un paio di settimane dal Riesame. Nel gennaio scorso di lui si sono perse le tracce, anche se ha continuato a postare frasi come "il mio datore di lavoro è la Jihad", abbinandole a una sua foto con un kalashnikov in mano. Ora anche il suo profilo sul social network risulta cancellato. Anas potrebbe trovarsi in Siria come spiegato più volte nei mesi scorsi dal suo avvocato.
A marzo 2012, sempre nel bresciano e per la precisione a Niardo, in Valcamonica, era stato invece arrestato Mohammed Jarmoune, ventiduenne marocchino accusato di addestramento e terrorismo internazionale e condannato in appello a 4 anni e 8 mesi di reclusione. Per gli inquirenti avrebbe diffuso su alcuni forum filmati inneggianti alla jihad e condiviso file con le istruzioni per costruire ordini a basso costo, oltre ad aver scaricato mappe di luoghi sensibili come sinagoga di via Guastalla a Milano. Lui ha però sempre negato tutto, affermando di essersi integrato perfettamente in Italia, in attesa del pronunciamento definitivo della Cassazione. Nella stessa inchiesta è finita anche una diciannovenne del varesotto, in Italia da quando era bambina e parte di una famiglia perfettamente integrata, che avrebbe postato video di propaganda e proclami alla jihad su forum e su Facebook. "Anche il caso di Mohammed Game (protagonista del fallito attentato suicida alla caserma Santa Barbara a Milano nel 2009, n.d.r.)", come fanno notare dal Ros, "pur essendo arrivato da adulto in Italia viveva nel nostro Paese da anni".
Una delle conseguenze della nuova tipologia di aggregazione, veicolata soprattutto dal web, e dell'homegrown terrorsim è che le minacce possono sorgere in qualunque area del Paese, nonostante le inchieste di cui si è parlato negli ultimi giorni siano concentrate nel nord Italia. Finora, percentualmente, le cellule individuate erano concentrate maggiormente al centro-nord e costituite da soggetti di area magrebina, ma i nuovi scenari geopolitici e Internet stanno mutando i parametri consolidati. E' comunque impossibile, infine, inquadrare l'entità della minaccia del terrorismo di matrice islamica per il nostro Paese basandosi esclusivamente sulle inchieste attualmente corso e su quelle condotte negli ultimi anni. "In Italia - spiega un altro inquirente dei Ros - esiste una forte tutela anticipata e un ramo prevenzione strutturato, molte possibili cellule sono state atrofizzate sul nascere grazie a modalità di prevenzione e di espulsione individuate per tempo dal legislatore".