IL MOVIMENTO cinque stelle fin dal suo esordio è apparso un animale eccentrico rispetto alla fauna del nostro sistema partitico. Con l’intreccio tra forte leadership, network territoriali e partecipazione via web, dal 2013 è divenuto una realtà nazionale. Ridimensionato alle elezioni europee del 2014, stando ai sondaggi è di nuovo in crescita e detiene la posizione incontrastata di secondo partito che sempre più si avvicina a quel Pd che fino a qualche mese fa appariva il sicuro vincitore di una futura competizione con l’Italicum. Alcuni fatti recenti possono fornirci elementi per tentare qualche ragionamento sull’evoluzione di questo movimento. La polemica interna scoppiata sugli immigrati ha visto Grillo prima contrapporsi ai suoi parlamentari (portatori di una linea più aperta all’accoglienza), e poi ridimensionare toni e contenuti. Un ridimensionamento accompagnato dall’annuncio di volersi defilare per dedicarsi a lavoro e famiglia pur restando legato al movimento.
QUESTO ipotetico passo indietro, di un leader che ha reso possibile la nascita e lo sviluppo del movimento e che in taluni momenti ha anche agito come un tiranno in grado di cacciare i disobbedienti, ma che al tempo stesso mai si è candidato a ricoprire ruoli istituzionali, assume un particolare significato se ci si sofferma sulla progressiva emersione, a livello nazionale – non più solo locale – di un gruppo dirigente con un proprio profilo: si pensi a nomi come Danilo Toninelli, Roberto Fico o Luigi Di Maio.
Un altro elemento proviene dalla vicenda del Consiglio di amministrazione Rai. Il M5S, con l’apporto di Sel, ha portato in quel Consiglio l’unico personaggio in possesso di solide competenze nel campo televisivo (non parliamo qui del presidente e del direttore generale), ovvero Carlo Freccero. Questo risultato, riconosciuto dai media, è apparso non come un colpo assestato dal leader, bensì come una mossa del partito. Inoltre, la scelta è avvenuta in seno al gruppo dirigente, non attraverso il ricorso al web e anche se ciò è stato giustificato con il poco tempo a disposizione, in realtà potrebbe essere un indicatore di un atteggiamento più politicamente responsabile rispetto alle funzioni che l’organizzazione deve assolvere; ci si rende forse conto che la democrazia della rete richiede correttivi. D’altro canto, questa pare essere la direzione che il movimento sta assumendo in vista delle elezioni comunali in una città significativa per la sua storia come Bologna.
Se davvero questa dovesse essere l’evoluzione, rimane da chiedersi come tale consolidamento potrebbe assorbire il tratto leaderistico. Nell’intervista data su queste pagine da Roberto Fico, il parlamentare del M5S pone l’accento sul fatto che Grillo rimane colui che fa rispettare le regole, ma al tempo stesso osserva che il movimento è oggi "più grande, più complesso e può poggiare su molte più spalle oltre le sue". Forse potrebbe essere in atto una sorta di istituzionalizzazione della forza comunicativa e di fascinazione del leader (di sua trasformazione in elemento legittimante), qualcosa che non è riuscito a Forza Italia, dove la continua invadenza di Berlusconi ha impedito ogni consolidamento.
PARADOSSALMENTE, mentre assistiamo alla fine del partito personale di Berlusconi, al consolidamento della personalizzazione della Lega versione Salvini e alla trasformazione (al livello nazionale) del Pd in un vero e proprio partito personale, il più eccentrico di tutti, il M5S, potrebbe alla fine offrirci il caso di un partito capace di esistere al di là dei capricci del capo. Ma forse, queste, sono solo elucubrazioni estive.