Roma, 30 giugno 2017 - Un neonato di 11 mesi affetto da una rara malattia genetica incurabile e due genitori che hanno tentato il tutto e per tutto per salvarlo e tenerlo in vita. E' la storia di Charlie Gard, il piccolo morto il 28 luglio dopo che i medici hanno staccato le macchine che lo tenevano in vita. Ecco le tappe della drammatica vicenda che vede i genitori opporsi alle autorità e ai medici - secondo cui la malattia è incurabile e provoca troppa sofferenza al piccolo - in una lunga e straziante battaglia legale.
LA MALATTIA - Il piccolo Charlie è nato il 4 agosto 2016. A otto settimane dalla nascita gli è stata diagnosticata una grave e rarissima malattia: la sindrome da deplezione del dna mitocondriale. La malattia provoca un graduale deterioramento dei muscoli e degli organi, in particolare del sistema nervoso, ed è incurabile e irreversibile. E' uno dei soli 16 casi esistenti al mondo, scrivono i media britannici. Il piccolo viene ricoverato a ottobre 2016 al Great Ormond Street Hospital di Londra, a marzo scorso le sue condizioni peggiorano: secondo i suoi medici non può respirare autonomamente, né vedere, sentire, muoversi, piangere o deglutire. Troppa sofferenza senza possibilità di miglioramento secondo i dottori. Fino ad ora è stato mantenuto in vita dai respiratori meccanici ospedalieri.
LA SPERANZA DEI GENITORI - I genitori avevano intenzione di portare il bambino negli Usa, dove un medico aveva assicurato loro di poterlo curare con terapie sperimentali. Per farlo avevano lanciato una raccolta fondi online, che ha raggiunto la cifra di oltre 1,4 milioni di sterline grazie all'aiuto di oltre 80mila diversi donatori, quanto serviva per pagare il trasferimento e le costosissime terapie negli Usa. Ma a marzo il bambino si aggrava e, se inizialmente i medici del Great Ormond Street Hospital di Londra, dove il bimbo è ricoverato, appoggia i genitori per il trasferimento del piccolo negli Stati Uniti, con il peggioramento spiega che non ci sono più le condizioni scientifiche per curare il bambino.
LA TESI DELL'OSPEDALE - Gli amministratori dell'ospedale pediatrico, considerato uno dei migliori al mondo, chiedono a un tribunale di poter staccare le macchine che tengono in vita Charlie. Per i pediatri che lo seguono, il piccolo soffre troppo, non ha più senso tenerlo in vita artificialmente: è necessario invece passare a un trattamento palliativo riducendo al minimo la sua sofferenza. Secondo i medici, il piccolo ha diritto a una morte dignitosa senza accanimento terapeutico. La tesi dei medici viene approvata e i genitori fanno ricorso.
LE SENTENZE - I tribunali britannici si pronunciano in ogni sede a favore dell'ospedale. L'ultima sentenza, quella della Corte suprema inglese arriva lo scorso 8 giugno: il viaggio e il prolungarsi del supporto vitale avrebbero solo causato altre sofferenze al bambino e non avrebbero portato a realistiche possibilità di miglioramento delle sue condizioni. I genitori decidono così di rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell'uomo, che respinge l'istanza tenendo conto "del considerevole margine di manovra che gli Stati hanno nella sfera dell'accesso alle cure sperimentali per malati terminali e nei casi che sollevano delicate questioni morali ed etiche". Inoltre i giudici hanno rilevato che "le decisioni dei tribunali nazionali sono state meticolose e accurate e riesaminate in tre gradi di giudizio con ragionamenti chiari ed estesi che hanno corroborato sufficientemente le conclusioni a cui sono giunti i giudici". Una sentenza inappellabile.
GLI APPELLI DEI GENITORI - "Noi e soprattutto Charlie siamo stati terribilmente abbandonati lungo tutto il processo", hanno detto i genitori, ringraziando invece quanti comuni cittadini hanno dato sostegno, anche economico tramite una colletta, alla loro causa.
L'ULTIMO TENTATIVO - Il professor Michio Hirano, luminare di neurologia alla Columbia University di New York, visita il bambino. Con lui il professor Enrico Silvio Bertini del Bambin Gesù. Il Congresso Usa vuole dare la cittadinanza al bambino per consentirne le cure negli Stati Uniti. Ma i genitori si arrendono, non c'è più tempo per le cure, sottolineano però che se affrontata prima la vicenda avrebbe avuto esiti diversi. Il giudice Francis decide che il piccolo sia trasferito in un hospice e di interrompere la terapia per tenerlo in vita artificialmente.