Venezia, 30 marzo 2013 - Tasse, burocrazia, costo del lavoro, inefficienza della pubblica amministrazione: questi sono solo alcuni dei motivi che la Cgia di Mestre sottolinea di fronte alle oltre 27mila
imprese che, al 31 dicembre 2011, hanno trasferito all'estero una parte della loro attività produttiva.
POSTI DI LAVORO - La crisi, sottolinea l'associazione, ha probabilmente frenato la 'fuga' delle aziende: se in questi ultimi anni la crescita del numero dei gruppi interessati dal fenomeno della delocalizzazione è stato abbastanza contenuto, pari al +4,5% tra il 2008 e il 2011, nell'arco temporale che va dal 2000 al 2011, invece, l'incremento è stato molto consistente: +65%. Alla fine del 2011 ammontavano a 1.557.000 i posti di lavoro creati da queste aziende oltre confine.
FATTORI TECNICI E PSICOLOGICI - "Premesso che in questi ultimi decenni la delocalizzazione produttiva ha interessato tutti i Paesi più industrializzati del mondo - ha sottolineato il segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi - fare impresa in Italia è molto più difficile che altrove. Le tasse, la burocrazia, il costo del lavoro, il deficit logistico-infrastrutturale, l'inefficienza della Pubblica amministrazione, la mancanza di credito e i costi dell'energia rappresentano degli ostacoli spesso insuperabili che hanno indotto molti imprenditori a trasferirsi in Paesi dove il clima nei confronti dell'azienda è più favorevole".
'CERTEZZA DEL DIRITTO' - Il Paese più attrattivo per i nostri imprenditori è la Francia: sono 2.562 le aziende italiane che hanno trasferito lì una parte della propria filiera produttiva. "Un elemento di forte richiamo - prosegue Giuseppe Bortolussi - è la certezza del diritto. In Francia, ad esempio, i tempi di pagamento sono più puntuali e più rapidi di quanto avviene da noi. La giustizia francese funziona e chi non paga viene perseguito e sanzionato. Senza contare che i tempi di risposta delle autorità locali sono strettissimi, al contrario di quanto succede in Italia dove l'unica certezza sono i ritardi che accompagnano quasi ogni pratica pubblica".
USA E GERMANIA SUL PODIO - Dopo la Francia, tra i Paesi che hanno attratto gli interessi delle nostre imprese troviamo gli Stati Uniti (2.408 aziende), la Germania (2.099 imprese), la Romania (1.992 unità produttive) e la Spagna (1.925 aziende). La Cina è al settimo posto, con 1.103 imprese italiane che hanno scelto di proseguire la propria attività produttiva in estremo oriente. Numeri significativi. il nuovo governo, quando ci sarà, dovrà guardarci dentro.
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