Mercoledì 13 Novembre 2024
LEO TURRINI
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Lamborghini, origini del mito. Quando il Cavallino fece infuriare il Toro

Il patron Ferruccio, classe 1916, sfidò Ferrari. Creando auto da sogno

Ferruccio Lamborghini con la Miura, auto che ha stregato star e principi

Ferruccio Lamborghini con la Miura, auto che ha stregato star e principi

Roma, 28 aprile 2016 - C’era un trattore. Anzi, no: tanti trattori. Tornato dalla Seconda Guerra mondiale, spesa sull’isola greca di Rodi, Ferruccio Lamborghini ebbe una intuizione. Lui, nato a Renazzo (Ferrara) il 28 aprile 1916, intuì subito che l’Italia rurale e contadina si sarebbe felicemente consegnata alla meccanizzazione. Mise su una fabbrica: comprava residuati bellici, li adattava alle esigenze dei campi e via andare. Soldi a palate, l’ammirazione dei conterranei, il successo imprenditoriale, eccetera eccetera. Sarebbe finita lì, se a Ferruccio non fosse entrata nel cuore l’ossessione della velocità. Il trattore, si sa, viaggia piano. Vuoi mettere con una Ferrari? L’eroe delle macchine agricole aveva un debole per le supercar, per le fuoriserie da strada. Le comprava, le coccolava, le custodiva con amore. Alfa, Lancia, Maserati, Jaguar. Però, le Rosse di Maranello, ecco, quelle al signor Lamborghini piacevano di più. Gli sarebbero piaciute sempre, non fosse stato per una dannata frizione.

LO SCONTRO. Qui si scivola sul pendio inclinato della leggenda (metropolitana, o se preferite regionale) e dunque conviene avvertire il lettore, maneggiare con cura il racconto che segue. Perché la cronaca della mitologia così si sviluppa: Ferruccio Lamborghini ama guidare le sue Ferrari sulle strade della Futa e della Raticosa, si ritrova con amici su rampe appenniniche, insomma si diverte a tirare il collo ai modelli che acquista in quel di Maranello.

FINCHÉ, un bel giorno il fabbricante di trattori ha una illuminazione. Accidenti, c’è qualcosa che non funziona, nella frizione della Rossa. Non sarà il caso di andare a parlarne con il Grande Vecchio? Detto, fatto: il Drake mai nega un incontro a un cliente affezionato… Solo che finisce a schifio. Lamborghini illustra la sua teoria. Sulla dannata frizione. Ferrari prende cappello e si sente oltraggiato. Ma come? Un tizio che fa macchine agricole pretende di impartire lezioni al più grande costruttore di automobili del Novecento? Sciò, via, fuori di qua. (Inciso tra parentesi. Il Drake ha sempre negato che il colloquio ci sia stato o comunque che sia andato nei termini descritti. Lamborghini si limitava a spiegare che dopo quell’incontro Enzo non gli rivolse mai più la parola. Morale: non si lasciarono tanto bene, gli ormai ex amici).

Sia come sia, Ferruccio esce dall’ufficio di Maranello e decide di buttarsi. Senza paracadute. Cioè mette in piedi una azienda per costruire automobili affascinanti, iper competitive, costosissime. Chiama accanto a sé gente che con Ferrari ha lavorato, da Giotto Bizzarrini al giovanissimo Gian Paolo Dallara. E nel 1963 la Lamborghini 350 GT debutta al Salone di Torino. Fa il botto e ancora deve arrivare la Miura, un modello epico che nella seconda metà degli anni Sessanta aprirà un’era nuova. Così Sant’Agata Bolognese diventa il tempio di un culto alternativo. La capitale di una eresia.

LAMBORGHINI, uomo geniale e pratico al tempo stesso, ebbe il buon senso di non sfidare mai il Vecchio sul terreno, cioè sulle piste, delle corse: a lui non interessavano i Gran Premi o le 24 Ore di Le Mans, ma la perfezione dei gioielli che confezionava. L’azienda la vendette a uno svizzero nel 1972. Morì nel 1993, cinque anni dopo la scomparsa del Drake, sicuro di non aver perso la scommessa figlia di una frizione. Cento anni dopo la nascita di Ferruccio, il marchio è in salute, controllato dai tedeschi dell’Audi. Quasi a chiudere un cerchio, oggi il presidente di Lamborghini si chiama Stefano Domenicali, l’ex capo del reparto corse della Ferrari. Domenicali dichiara laconicamente: «È motivo d’orgoglio aver lavorato e lavorare per due simboli dell’Italia migliore...». Vai a dargli torto.