Roma, 18 ottobre 2017 - La procura di Roma ha chiesto l'ergastolo per Valentino Talluto, l'uomo accusato di aver trasmesso il virus Hiv a una trentina di donne in dieci anni. Imputato di epidemia dolosa e di lesioni gravissime, secondo il pm Elena Neri era consapevole di essere sieropositivo ma "continuava a chiedere rapporti non protetti raccontando bugie alle sue partner". Molte delle vittime, ha sostenuto il magistrato nella requisitoria al processo di primo grado, "erano al loro primo rapporto sessuale (...) si sono innamorate perche si fidavano ai loro occhi appariva rassicurante e pieno di attenzioni, cercando di presentarsi a casa come il classico bravo ragazzo".
Alcune delle donne infette si sono presentate spontaneamente agli inquirenti, altre sono state rintracciate grazie ai tabulati telefonici. Tante vittime "ci sono state segnalate dall'ospedale Spallanzani perché contagiate dal sottotipo di virus dal quale è infetto Talluto - ha spiegato la Neri davanti ai giudici della III corte d' assise di Roma -. Ne abbiamo contattata una per una e puntualmente abbiamo scoperto che avevano avuto rapporti con Talluto dopo il 2006. Il laboratorio dello Spallanzani ci ha aiutato, visto che non ci ha aiutato Talluto e ne è uscito un panorama sconcertante".
Secondo la procura "non possono essere concesse le attenuanti generiche non avendo Talluto mai dimostrato pentimento. Non ha mai collaborato e ha reso dichiarazioni false. Il suo era solo un modo per seminare morte".
Questo processo invece non deve essere "un processo alle ragazze che figurano come vittime. Loro rappresentano una generazione che non conosce l'Aids, che non conosce i morti per questa malattia, che la legano solo alla tossicodipendenza e ai rapporti omosessuali, e che usa i social network per allacciare relazioni e fare amicizie".
"UNA STRAGE SOCIALE" - Valentino Talluto è "autore di una strage sociale, causata da una efferata sregolatezza nella quale lui era assolutamente consapevole che con rapporti non protetti avrebbe contagiato le sue partner". Parole pesantissime quelle di Irma Conti, difensore di parte civile. La sua è stata una "violenza con guanto di velluto, tra i petali di rosa dei quali omaggiava le vittime - sottolinea Conti, che al processo rappresenta 17 persone - e solo la prima denuncia arrivata da una delle vittime e l'indagine scrupolosa che ne è seguita hanno consentito di fermare la diffusione del fiume in piena del virus".