Dall'inviato
Norcia (Perugia), 1 novembre 2016 - «NORCIA non morirà, glielo giuro! Rinascerà così come rinascerà la casa di san Benedetto! Qui siamo nati, qui abbiamo costruito il nostro futuro, da qui nessuno ci muoverà». Parla con la voce rotta dalla stanchezza, il sindaco Nicola Alemanno, i vestiti stazzonati, la barba non fatta e gli occhi cerchiati di chi ha dormito solo poche ore. Da due giorni è in trincea in questa guerra anomala chiamata terremoto. La faticosa organizzazione dei soccorsi, ma anche lunghi incontri faccia a faccia coi cittadini che hanno perso tutto e che hanno voglia anche di scambiare una sola parola («E io ho il diritto di piangere con loro»). Dice, anzi urla che Norcia risorgerà. Ma entrando nella zona rossa, ovvero nel centro storico oggi evacuato, la fitta al cuore è enorme.
PIAZZA San Benedetto è un set spettrale. L’enorme cattedrale sventrata dal sisma è un cumulo di macerie bianche. Il silenzio e la polvere. La meravigliosa facciata rimasta in piedi chissà come («Di certo non lo sa nemmeno lei», dice il vigile del fuoco che ci accompagna) copre ora un mucchio di rovine. Nelle strade del centro si aggira solo qualche cane della protezione civile e qualche camionetta dei vigili che accompagna gli sfollati («Mi raccomando, avete solo dieci minuti») a recuperare a turno qualcosa nelle case inagibili, medicine, vestiti pesanti, documenti ma anche gli animali rimasti nelle abitazioni. Un sisma così violento e malvagio, questo dell’Umbria, la cui eco è arrivata ovunque, al punto che perfino Amanda Knox da Seattle ha telefonato a uno dei suoi legali per sapere, bontà sua, «se tutti stavano bene». Tant’è.
Rinascerà Norcia, come grida anche la presidente della Regione Catiuscia Marini («Se no tutto questo sforzo per cosa lo facciamo?»), ma come rinascerà? E soprattutto: nella lunga attesa della ricostruzione, come vivrà la gente di qui? Per questo, il governo e la Protezione civile avevano steso un piano in tre fasi: a) dapprima l’immediato trasferimento degli sfollati negli alberghi del Trasimeno; b) poi il loro ritrasferimento entro 2/3 mesi nei container a Norcia; c) quindi la realizzazione entro 7 mesi di casette prefabbricate. Peccato che il piano sia stato «aggiornato» ancor prima di partire.
MOLTI degli abitanti di Norcia, all’incirca 2.000 sui 3.000 rimasti senza un tetto, si sono infatti ribellati all’idea di lasciare la città, chiedendo, esigendo tende per restare vicini alle proprie case e alla proprie attività. La paura di perdere tutto, l’ignoto improvviso che si ha di fronte: «Noi non vogliamo essere deportati, rimarremo a dormire nelle macchine e nelle roulotte ma da qui non ci muoviamo», si sbracciava ieri mattina Francesca D’Abbraccio, titolare di un ristorante dopo che, come molti altri, aveva passato la notte in auto. E poco importa che le istituzioni continuino a sostenere l’inutilità delle tende, «dove è impossibile vivere decentemente con il grande freddo in arrivo». La maggior parte dei nursini sembra voler resistere al non trasferimento costi quel che costi: «E con le mie mucche che faccio? Le porto con me al Trasimeno o le lascio qui a morire? Sì, forse dovrei ammazzarle tutte e sarebbe meglio per come stanno le cose oggi», allargava le braccia Silvio Caproni, uno dei tanti allevatori della zona. Un clima di polemica così forte, che è anche trasceso. Con accuse pesanti all’amministrazione, rea secondo molti di aver sottostimato il pericolo terremoto per non avere un crollo del turismo nella zona. «Ma questa è una polemica stucchevole messa in giro da chi non riesce a non essere sciacallo nemmeno in questi momenti», ha tagliato corto il sindaco Alemanno. «Come è facile fare i masanielli senza responsabilità. Viene quasi il sospetto che oggi qualcuno sia contento che siamo quasi morti», rincarava la dose il vice sindaco Piero Luigi Altavilla.
VECCHI veleni e antichi rancori che nemmeno il sisma ha avuto il pregio di quietare. Comunque un muro contro muro, che rischiava di far trascorrere un’altra notte nelle auto a molti cittadini di Norcia. Così alla fine, il fronte dell’intransigenza alle tende si è sbrecciato. «Noi non vogliamo deportare nessuno», ha detto a metà pomeriggio la presidente della Regione Marini, annunciando l’arrivo di tre tende collettive per ospitare 300 persone che di andare negli alberghi del Trasimeno ancora non ne vogliono sapere. «Certo, questo è meglio che dormire in auto – spiegava accanto a lei un dirigente della Protezione Civile –, ma appena arriverà il freddo, vedrete che saranno loro stessi a chiederci di abbandonare le tende». Il dramma infinito del dopo terremoto in una sola frase.