Bologna, 18 novembre 2017 - Palpeggiamenti del sedere, baci sulla guancia non graditi, carezze ai capelli rubate: facile gridare alla violenza sessuale ovvero lasciare passare qualsiasi comportamento quasi che tutto fosse lecito. Ben più complesso è ravvisare quando davvero si configuri un abuso a norma di legge, fermo restando che il diritto è di per sé generale e astratto. Decisiva resta così l’interpretazione dei giudici, in ultima istanza gli ermellini della Cassazione, con il risultato che non sempre toccare una donna fa scattare il reato.
Il codice penale disciplina la violenza sessuale all’articolo 609 bis, comminando dai cinque ai dieci anni di reclusione a chi, con violenza, minaccia o abuso di potere, costringa taluno a compiere o subire atti sessuali. Il problema sta proprio nel capire quando i comportamenti siano o non siano a ‘luci rosse’. Sul punto i giuristi (Cassazione compresa) oscillano fra chi parla di atto sessuale solo in presenza di condotte che investono le zone erogene (genitali, cosce, labbra e fondoschiena) e chi, al di là della parte del corpo coinvolta, considera dirimente il fatto che l’azione sia finalizzata a raggiungere un piacere da parte del soggetto agente. Un indirizzo, quest’ultimo, che ha spinto i magistrati della Corte d’appello di Lecce a condannare per violenza sessuale nell’aprile 2013, in parziale riforma del verdetto di primo grado, un uomo che aveva toccato i capelli di un’amica della figlia prima di accarezzarla sul viso, vicino al mento, alle labbra e sul collo.
L’imputato non si è dato per vinto e ha fatto ricorso in Cassazione, rilevando che in base allo stesso racconto della minore, le avrebbe fatto i complimenti e toccato semplicemente i capelli (non una zona erogena, ergo non ci sarebbe stata nessuna invasione della sfera intima della giovane), aggiungendo che era bastato il suo minimo rifiuto per farlo desistere. L’argomento ha fatto breccia nella Suprema corte (sentenza numero 40349/14) che ha rinviato il verdetto per un Appello bis.
Passi pure lo sfioramento dei capelli, non la mano morta sul sedere. La conferma arriva dalla stessa Cassazione che, con sentenza numero 5515/2016, ha ribadito la condanna per il reato di cui all’art. 609-bis del Codice penale, ai danni di un’automobilista reo di aver palpeggiato il fondoschiena di una vigilessa nel corso di un controllo, corredando il gesto con frasi scurrili. A detta degli ermellini, la condotta contemplata da tale norma comprende, secondo il costante indirizzo della giurisprudenza, oltre ad ogni forma di congiunzione carnale, «qualsiasi atto idoneo, secondo canoni scientifici e culturali, a soddisfare il piacere sessuale o a suscitarne lo stimolo, a prescindere dalle intenzioni dell’agente, purché questi sia consapevole della natura oggettivamente ‘sessuale’ dell’atto posto in essere con la propria condotta cosciente e volontaria».
E che dire di un bacio sulla guancia tutt’altro che gradito? Anche qui la Cassazione ha fatto chiarezza (sentenza numero 18679/2016). Il caso è quello del ricorrente che aveva costretto una 15enne a subire ripetuti tentativi, a volte riusciti, di baciarla sulla guancia dopo averla seguita all’uscita del liceo. I giudici di merito lo avevano ritenuto colpevole di violenza sessuale. Morale: un anno e tre mesi di reclusione. Di diverso avviso i colleghi di legittimità... Il reato sussiste, ma trattasi di violenza privata. Non di altro.