Roma, 7 gennaio 2017 - Prefetto Gabrielli, è solo un’impressione o col cambio di ministro è cambiato anche l’approccio del Viminale al duplice tema immigrazione-terrorismo? «Col ministro Alfano ho lavorato bene così come sto lavorando bene col suo successore. Minniti ha una competenza riconosciuta e idee molto chiare. Credo che, avendo una prospettiva politica di breve durata, intenda concentrare in tempi ristretti diversi obiettivi».
Funzionano come prigioni? «Sì, chi è dentro non può certo uscire. Sono vigilati dalle forze dell’ordine, ma non escludo l’uso dell’esercito».
Il problema è che in più della metà dei casi noi disponiamo espulsioni che non vengono recepite dai Paesi di provenienza... «Vero, l’abbiamo visto anche nel caso del terrorista tunisino Amri. Il punto è che per i Paesi d’origine l’emigrazione è due volte vantaggiosa: decomprime la demografia e garantisce importanti rimesse di denaro...».
Dunque? «Dunque, occorre fare in modo che riprenderseli sia ancora più vantaggioso. Le assicuro che con quello che spende lo Stato per accoglienza, sanità e sicurezza, le risorse da distribuire a mo’ di incentivo non mancherebbero».
A proposito di accoglienza, l’Italia spende per ogni migrante più di quello che spende la Germania, e i servizi sono spesso miserabili. C’è chi ci si arricchisce, le pare normale? «Quei 35 euro al giorno spesi per ogni migrante sono necessari, il problema è che non tutti offrono davvero i servizi previsti. Perciò faremo più controlli nei centri di accoglienza».
Quasi tutti i migranti chiedono asilo politico, solo il 5% lo ottiene, tutti gli esclusi fanno ricorso e perché la procedura giudiziaria si completi passano almeno due anni. È possibile semplificare? «È possibile e lo faremo. La normativa europea prevede almeno un grado di giudizio, il nostro sistema giudiziario ne presuppone tre. Intendiamo fermarci al primo».
La regola di 2,5 immigrati ogni mille abitanti è troppo spesso trasgredita. Come lo spiega a chi vive nei pressi di un centro di accoglienza? «Capisco l’allarme dei cittadini, ma è la conseguenza del fatto che la maggior parte dei Comuni ha dimostrato poca generosità. Rifiutano di farsi carico dell’accoglienza. Mi auguro che incoraggiando economicamente i più disponibili la situazione migliori».
Gli immigrati non sono tutti uguali. Perché non privilegiare nel riconoscimento dei permessi di soggiorno quelli culturalmente più affini a noi? «Sono contrario, mettersi a distinguere su base etnica sarebbe un gravissimo errore. Siamo noi italiani a vedere gli altri con pregiudizio: tutti possono integrarsi».
Ma non tutti in egual misura. «Dipende solo dalle capacità ricettive del Paese. Lo slogan del ministro Minniti è ‘accoglienza e severità’, e per accoglienza si intende un’integrazione reale».
Minniti ipotizza accordi bilaterali sugli espulsi e centri di raccolta dei migranti in nord Africa. Non è il primo: si illude o bleffa? «Né l’uno, né l’altro. Il governo sta lavorando seriamente su entrambi i fronti e sono sicuro che a breve avremo importanti novità anche nel rapporto con la Libia».
Tipo? «Non posso dire di più».
Lei ha guidato anche il servizio segreto interno, come spiega il fatto che a differenza dei nostri vicini europei l’Italia non sia stata ancora toccata direttamente dal terrorismo islamico? «Ho letto tante fandonie. C’è chi pensa che sia ancora in vigore il lodo Moro, come se si potesse interloquire con l’Isis, con i suoi mille cani sciolti e con le sue cellule dormienti come si fece un tempo con i terroristi palestinesi... Balle. Tutte balle».
Allora a cosa è dovuta l’eccezionalità italiana? «È il frutto di diversi fattori. Oltre all’ottimo lavoro di prevenzione, il punto è che non abbiamo sacche gravi di marginalizzazione e che noi i sospetti terroristi li espelliamo subito».
Per poi spesso vederli tornare... «Siamo uno Stato di diritto, per incarcerare qualcuno occorrono prove e già oggi sulle espulsioni capita di assistere ad imbarazzanti bracci di ferro tra capi delle procure e gip... Sa qual è la verità?».
Qual è la verità? «La verità è che se la smettessimo di giudicarci più coglioni degli altri scopriremmo che in molti casi siamo migliori. Grazie al controllo capillare del territorio abbiamo neutralizzato l’attentatore di Berlino, e mentre la Germania, e dico la Germania, ci ringraziava, noi polemizzavamo sul fatto che fossero stati resi noti i nomi dei due splendidi poliziotti che hanno compiuto l’azione».
Dobbiamo rassegnarci a convivere con le emergenze migranti e terrorismo? «Sì, passeranno anni, decenni e forse generazioni. Prima o poi pagheremo anche noi un prezzo, non c’è dubbio. Inutile illudersi. Ma è chiaro che saremmo sconfitti solo se ci lasciassimo condizionare nella nostra quotidianità».
Recenti bombe a Bologna e a Firenze ci ricordano che esiste anche il terrorismo interno... «Per fortuna si tratta di una parte residuale delle nostre preoccupazioni, ma non per questo sottovalutiamo le potenzialità dell’anarco-insurrezionalismo».
Un questore può chiudere un bar frequentato da spacciatori ma non un sito internet frequentato da terroristi. Un paradosso? «Sì, ma attenzione: ad oggi sono morti per mano dell’Isis 300 europei, mentre ogni anno muoiono in incidenti stradali 3700 italiani, eppure nessuno pensa di limitare l’uso dell’automobile. La vita umana ha un valore, ma la libertà ha un valore superiore. Sarebbe sbagliato limitare l’uso del web, mentre è giusto indagarlo con squadre e strumenti speciali. È quel che facciamo quotidianamente».
In questi giorni, a Catania, un medico ha negato informazioni su una paziente a un mafioso. Dopo che è stato oggetto di una spedizione punitiva la polizia gli ha consigliato di lasciare la città. Addio Stato? «È una sconfitta per tutti. La mafia è un problema che da tempo non riguarda più solo la Sicilia, ma le assicuro che non l’abbiamo rimosso. Anche se se ne parla meno, il nostro impegno contro Cosa Nostra è lo stesso di sempre».
Dottor Gabrielli, è vero che prima di prendere decisioni importanti ascolta i dischi di Claudio Baglioni? «L’unica cosa vera è che nel mio ufficio c’è sempre un sottofondo di musica esclusivamente italiana: chissà, forse significa che devo prendere decisioni difficili in continuazione».