Roma, 18 novembre 2016 - Un'adolescente britannica ha ottenuto dai giudici il via libera per essere ibernata dopo il suo decesso, con la speranza di essere un giorno "risvegliata" e guarita con nuove cure. Il verdetto, riportato dalla Bbc, è stato reso pubblico solo ora, a ibernazione avvenuta. Il corpo della 14enne è stato trasportato negli Usa e congelato tramite "criogenesi".
Ma cos'è la "criogenesi", o meglio la crioconservazione post mortem, come nel caso della ragazzina britannica. Per spiegarlo bisogna partire dall'ibernazione, che è una condizione biologica in cui le funzioni vitali sono ridotte al minimo, il battito cardiaco e la respirazione rallentano, il metabolismo si riduce e la temperatura corporea si abbassa. Negli animali la troviamo in forma di letargo o anche come ipotermia preventiva in medicina. Per non parlare di quanto il tema sia caro alla fantascienza.
In medicina, e specialmente in chirurgia, si parla di ipotermia preventiva per l'abbassamento artificiale della temperatura corporea del paziente per ridurne i processi vitali durante particolari interventi chirurgici, tipo di cardiochirurgia e neurochirurgia e in alcuni pazienti che hanno subito ipossia cerebrale. Ma siamo ancora lontani dal punto di congelamento. Altro caso si ha con la conservazione di spermatozoi ed embrioni umani grazie all'azoto liquido, è detta crioconservazione, che non riesce però con parti più grandi del corpo a causa di motivi tecnici legati alla velocità di congelamento e scongelamento.
Anche se alcune teorie ipotizzano la possibilità di ibernare un intero individuo prima della morte cerebrale in caso di coma irreversibile, oppure per evitare la morte a causa di un male incurabile, in attesa di future cure, restano ancora senza un riscontro scientifico.
Dal punto di vista etico e legale quindi è possibile solo la crioconservazione di corpi morti, che cerca di sfruttare il lasso di tempo che passa dal blocco del battito cardiaco alla morte cerebrale, effettuando così il congelamento in modo da conservare intatte le strutture nervose.
I sostenitori di questa tecnica credono che in futuro dovrebbe essere possibile sviluppare una tecnologia in grado di ripristinare completamente le funzioni vitali dei corpi ibernati. Il corpo, al momento del risveglio, tornerebbe come prima dell'ibernazione senza invecchiamento. Ma è una teoria che presenta molti limiti. Alla base c'è l'idea di 'prendere tempo' nella speranza quando si verrà scongelati esistano nuove tecnologie che permettano di rigenerare, sostituire e ristrutturare i tessuti vecchi e il corpo ormai sulla soglia della morte.
Intanto l'ibernazione non è in grado di ringiovanire il corpo e quindi di allungarne la vita, ma ritarda solo l'invecchiamento non lo rallenta. I limiti della teoria si sovrappongono a quelli della tecnica. Intanto non bisogna confondere il congelamento con la vetrificazione. In caso di congelamento si ha il limite delle 24 ore al primo scongelamento, ed è possibile una volta sola, pena la putrefazione al momento dello scongelamento a causa dei batteri dei tessuti che risultano rafforzati e più reattivi una volta scongelati.
Gli stessi embrioni, congelati in azoto liquido a circa -197 °C, le temperature dette criogeniche, non sopravvivono più di 5 anni. Si presume quindi che gli stessi organi dentro il corpo in azoto liquido non possano durare anni o secoli: le cellule probabilmente degenerano per qualche reazione chimica di denaturazione delle proteine e di rottura della catene di DNA portando alla morte di quelle scongelate.
Finora non si è mai tentato di riportare in vita un corpo ibernato. Tutti i corpi ibernati fino ad oggi appartenevano a persone legalmente morte a cui veniva vetrificato il corpo con l'azoto liquido a meno di 200 gradi sotto zero.
L'ibernazione post mortem, come nel caso della ragazzina britannica, si basa sulla vetrificazione, un processo che crea una situazione in cui i liquidi corporei addizionati a sostanze antigelo si condensano e vetrificano senza cristallizzare e quindi senza danneggiare le pareti cellulari. Le cellule con la vetrificazione restano sospese e una volta scongelate risultano funzionali. In teoria la crioconservazione rallenterebbe l'invecchiamento, senza fermarlo, e, dopo lo scongelamento, non altererebbe i processi biologici dell'individuo.
La crioconservazione post mortem presenta quindi alcuni limiti: la rottura delle membrane cellulari da parte dei cristalli di ghiaccio che dovessero formarsi; la formazione di rotture del corpo ibernato sottoposto alla tensione dei diversi tessuti che hanno coefficienti di dilatazione diversi; la difficoltà allo scongelamento contemporaneo di tutte le parti del corpo.
Il primo punto è già quasi risolto grazie all'utilizzo di una una soluzione vetrificante che sostituita al sangue apporta antiossidanti e sostanze che impediscono la formazione di cristalli di ghiaccio.
Si spera che le tecnologie che possano portare allo scongelamento del corpo e successivamente alla riparazione della parti danneggiate e corrotte siano sufficientemente potenti da poter operare sugli inevitabili danni ai tessuti nervosi e sulle cause della morte.