Terni, 20 agosto 2017 - Ritmi febbrili, tensione, ansia da prestazione, rancori e invidie. Il cuoco, dicono i ricercatori di Harvard, è diventato uno dei dieci mestieri più stressanti del mondo. E lo stress trasforma le cucine in teatri di guerra. Chef celeberrimi, da Gordon Ramsay a Jamie Oliver, collezionano rivolte e cause di camerieri e aiuti. Joel Robuchon, astro della cucina francese, è stato denunciato da un dipendente per «tirannia». Qualcosa di simile è successo a un celebre stellato milanese. In tante cucine volano piatti, insulti, schiaffoni. E ora perfino rappresaglie a colpi di lassativo.
Gianfranco Vissani, che cosa sta succedendo?
«Troppe ore di lavoro, troppo sfruttamento. Sono pochissimi quelli che accettano un posto dopo aver chiesto quanto si guadagna esattamente. Si buttano e poi vedono. Così finiscono in balìa di chef mercenari, più o meno celebri, che impongono il loro modo arrogante di lavorare e di comandare. Lo impongono anche ai proprietari, che devono far tornare i conti e pagano gli ultimi arrivati solo quando capita».
E quindi?
«Quindi queste persone odiose e mediocri stanno distruggendo tutto, col fattivo aiuto delle guide gastronomiche. Ne riparliamo fra un paio d’anni, vedrete. Si sta annientando un’economia. Ovviamente i giovani sono le prime vittime».
Ovvero?
«Guardano Masterchef, pensano chissà che cosa, mettono il naso in una cucina e solo lì si rendono conto. Sa quanti sono quelli che dopo un giorno non si fanno più vedere? Tanti. Perché non reggono a quell’inferno. Però vorrei aggiungere una cosa su quella storia dei lassativi».
La aggiunga.
«Certi comportamenti non sono sempre imprevedibili. Un cuoco dovrebbe cogliere i segnali di tensione o di conflitto. Avevo un collaboratore che piantava grane e non faceva mai quel che gli chiedevo. L’ho messo alla porta».
Cannavacciuolo racconta di quando tornava a casa, a 13 anni, con le spalle e le braccia blu per le mazzate che gli rifilava lo chef. Lei mena?
«No. Una volta sono stato menato. Anni Sessanta, ero in cucina a Villa Miani a Roma, per un pranzo molto ufficiale. Era avanzata una mousse e il maître mi disse che potevo mangiarmela. La feci fuori in due bocconi. Subito dopo, il premier finlandese ne chiese un’altra. Lo chef venne da me e mi sferrò un cazzottone sul petto. Ma che c’entravo io? Semmai doveva licenziare il maître».
Ne ha presi altri?
«No. Però la gavetta io l’ho fatta davvero. In cucina a Villa Madama il mio compito era spalare carbone tutto il giorno. Arrivavo a sera con le gambe che restavano nere anche lavandole. Pensavo di essere malato».
La gavetta l’hanno fatta anche tanti altri chef famosi.
«Quelli famosi oggi? Lasciamo stare».
Che cosa direbbe a un giovane che si è messo in testa di fare il cuoco?
«Che non è tutto oro quello che luccica, ovviamente. Ci vogliono una lunga gavetta, un titolo di studio, un buon inglese parlato. E poi bisogna entrare in cucina con intelligenza e cautela».
Facile a dirsi. Ma se lei non fosse un cuoco famoso e suo figlio scegliesse quel mestiere, ne sarebbe contento?
«No. Oggi il sacrificio richiesto è enorme, troppo grande».