Giovedì 26 Dicembre 2024
ROBERTO PAZZI
Cronaca

Charlie Gard, il sorriso consegnato alla memoria

Il ricordo è l'unica risorsa contro la condanna a morte che ci segue dalla nascita Charlie Gard, le ultime ore coi genitori

Il piccolo Charlie con i genitori

Roma, 2 luglio 2017 - Fino a quali affettuosi stratagemmi saprebbe giungere la natura umana per strappare alla morte più spazi possibili di memoria, coi quali dilatare l’illusione che trattenga ancora la creatura amata fra coloro che l’avevano generata? Tutti sappiamo che mettere al mondo un figlio è contrarre per la creatura desiderata il debito della morte, fin dal primo vagito. Siamo nati tutti per morire. E forse la morte celebra la sua vittoria più fastosa con le vite lunghe, più che con quelle spezzate prematuramente, se si pensa alla ricchezza di esperienze e di sapere che svanisce in una vita centenaria. Ma questo caso di una vita di dieci mesi è troppo singolare, troppo raro per consolarci del destino che comunque si sarebbe compiuto.

Charlie Gard, le tappe / Dalla malattia alle sentenze

Hanno fatto davvero impressione, quando tutto il mondo teneva il fiato sospeso in attesa della ferale notizia delle macchine staccate dal corpicino di Charlie, le parole dei genitori che con lucida coscienza si godevano la dilazione ottenuta dai medici, per imprimersi nella memoria quanto più possibile tratti, sembianze, gesti, pose, sguardi per ‘dopo’. Dopo. Mai questo avverbio di tempo alitò più gelido soffio, nella potenza del suo rinvio al Nulla, così poco intaccato dal breve Tutto di quella creaturina. Dopo. Quando sarebbe iniziata la metamorfosi del loro piccolo primogenito in ombra. Quando già muoverà i primi incerti passettini fra quelle che Catullo chiamava le maledette tenebre dell’Orco, che divorate ogni cosa bella, «malae tenebrae Orci, quae omnia bella devoratis»…

Charlie Gard, concesso più tempo ai genitori

Intenti a costruire una cattedrale di sensazioni emozioni e ricordi, con poche ore irripetibili, i due genitori sono apparsi come ‘api dell’invisibile’, quelle che Rilke nelle Elegie di Duino individuava nei poeti necessitati a salvare e mutare in Parola non solo le persone, ma le cose del mondo che perisce e scompare sempre, anche con i più gloriosi Imperi.

Gli uomini intenti a riempire le arnie del ricordo, prima che sia troppo tardi, sono vere api che suggono dal fiore, non ancora reciso, il miele della memoria, l’unica risorsa che consoli gli esseri umani della condanna a morte, a cui tutto è soggetto, quella morte «dai cui confini nessuno è ritornato».

Quando muore Albertine, ne La fuggitiva, l’Io narrante di Proust rivive al parossismo le consuetudini che la vita della giovane prigioniera aveva disseminato fra le mura di casa sua, non volendo spostare oggetti, letti, poltrone, pianelle, abiti, carta da lettere, che simulassero più a lungo possibile ancora la trama delle abitudini, di cui è fatta ogni esistenza, legata alle ore, a tutti quei riti che Charlie non conoscerà, dal risveglio, alla pappa, al bagnetto, al sonno di una giornata giunta a sera.

Hanno avuto solo poche, pochissime ore, quei genitori, non ne è stato nemmeno precisato il numero, per compiere questo miracolo d’amore che li ha impegnati a non cedere ancora al dolore, a non pensare alla pietosa insania che stanno vivendo. Era anche nostra la loro santa follia, intenti a costruire con le ultime ore di vita di Charlie, l’unica vita che la Natura gli aveva donato, per poterne portare l’orma nel futuro che li attende senza di lui.

Non possiamo e non vogliamo capire se abbiano davvero tutte le ragioni i giudici che a tanti livelli di giudizio hanno decretato che sia meglio morire per Charlie. Ma sappiamo che quell’ansia di moltiplicare il Tempo di poche ore per dilatarla a un’ intera Vita ha un valore d’amore così immenso, da abbattere la razionalità della scienza e sconfinare nei regni della Poesia.