Sabato 6 Luglio 2024
ANDREA MARTINI
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'Un mondo fragile', dalla Colombia un film che sa di poesia

Non a caso ha vinto la Caméra d’Or, il premio per il miglior esordio all’ultimo festival di Cannes L'INTERVISTA - Il regista: "Nel film una terra sfigurata da un'idea insensata di progresso"

Cesar Augusto Acevedo (al centro), con John Reilly e Sabine Azema (Ansa)

Cesar Augusto Acevedo (al centro), con John Reilly e Sabine Azema (Ansa)

Roma, 23 settembre 2015 - Una umile casa al centro di una infinita piantagione di canna da zucchero: un’isola scura immersa nel mare grigioverde di fusti che tremano al vento. La gradazione della luce e il dominio degli spazi fanno pensare a un quadro. E’ invece un’inquadratura cinematografica tra le più belle di questa stagione. Non a caso il film ha vinto la Caméra d’Or, il premio per il miglior esordio all’ultimo festival di Cannes. 

'Un mondo fragile', titolo che allude a una felice espressione di Papa Francesco, è in realtà La tierra y la sombra opera prima del colombiano César Augusto Acevedo, trentenne con maturità di sguardo e sensibilità narrativa stupefacenti per l’età. Anche se da quel paese, come da quelli limitrofi, arriva da qualche anno un cinema autentico e consapevole, rurale (come questo di Acevedo) o metropolitano ( come quello di Desde Allà  che ha vinto il Leone d’oro a Venezia) al cui confronto il cinema dei giovani europei appare spesso vecchio e insipido.  

A quella casa in mezzo al bosco di canne un uomo fa ritorno dopo diciassette anni. Torna per accudire il figlio gravemente ammalato o meglio per assistere alla sua morte ed è accolto dalla pioggia di cenere rilasciata dai fuochi appiccati per intensificare lo sfruttamento della piantagione. Una pioggia insolita, tremenda, luttuosa, biblica come fosse un’ottava piaga. Quel pulviscolo grigio ricopre i corpi, annerisce i volti, costringe le povere stanze della casa a un buio opprimente, figlio di porte e finestre sbarrate. Nella sua tragica bellezza la caduta della cenere è il cuore del dramma e, al tempo stesso, la potente cifra stilistica che Acevedo impone al racconto. 

Il vecchio, fuggito alla povertà del luogo, allo sfruttamento che l’industria dello zucchero (consapevole del tramonto della cultura della canna) rende ogni giorno più incivile, trova, tornando, una moglie indurita, un figlio morente e una nuora e un nipote che non conosceva. Ricostruire i rapporti, stabilirne dei nuovi è il suo progetto nonostante  l’assenza di lavoro renda quel ritorno provvisorio.  Le parole sono ridotte al minimo, il ritmo è lento, le inquadrature indugiano, ma Acevedo ha la capacità di fare emergere dai gesti trattenuti e dall’assenza di parole i caratteri dei personaggi secondo lezioni cinematografiche antiche che fanno pensare a Ozu e Dreyer. 

Mentre l’anziana moglie e la giovane nuora mendicano faticose giornate di lavoro da tagliatrici di canna e il figlio sta soccombendo alla malattia, il vecchio affascina e incanta il nipote in una trasmissione di saperi destinati a esaurirsi con il tramonto di un mondo arcaico, ancorato alla dimensione sacrale dell’esistenza.  La tierra è il luogo delle radici dove memoria e identità ancora per poco risiedono e l’ombra è quella dell’unico albero alla cui frescura i rapporti si ristabiliscono e i corpi e le menti tornano a comunicare.

Dopo la morte del figlio sarà obbligo ripartire con nuora e nipote per quella città che niente offre ma che tanto sembra promettere. Alla sofferenza della terra e degli uomini che per centinaia di anni l’hanno coltivata è però impossibile sfuggire. La vecchia nonna che rimane sola nella casa circondata dal fuoco delle canne incandescenti lo sa. Ancora una volta l’ultima bandiera della dignità è sepolta nel cuore sofferente di una donna. 

Un piccolo capolavoro di rara intensità poetica che arriva dalla Colombia, un paese noto solo per la violenza dei narcotrafficanti, per il nome di qualche calciatore di fama e tutt’al più per uno scrittore Nobel come Garcia Marquez.  Vedere Un mondo fragile - sugli schermi da giovedì 24 -  non è ovviamente un obbligo. Ma sarà un obbligo naturale per ogni spettatore consigliarlo agli altri.