Roma, 27 aprile 2016 - Continua a parlare, Tobias, esponente del partito di destra Alternative für Deutschland. Anche se Adolf Hitler gli si addormenta sulla spalla, annoiato dalle sue parole vuote. Ma il potere della telecamera è più forte. E’ una delle scene di “Lui è tornato”, film del tedesco David Wnendt che immagina il ritorno del Fürer nella Germania contemporanea. La trama, tratta dal best seller di Timur Vermes, è presto detta: Adolf Hitler si risveglia 70 anni dopo nel luogo dove sorgeva il suo bunker e ricomincia la scalata al potere, sfruttando la televisione, media potentissimo oggi ‘usato solo per guardare cuochi che cucinano’. Il problema è che – nella popolazione delusa dai politici, resa più povera dalla crisi e più spaventata dallo spettro dell’immigrazione - troverà un terreno molto più fertile di quanto si potesse pensare.
UN MIX DI FICTION E REALTA' - Ecco dunque che, in questo lungometraggio distribuito solo per pochi giorni (ancora oggi e domani) nei cinema italiani, ma disponibile anche nel catalogo Netflix, si mescolano parti di fiction e candid camera: l’attore Oliver Masucci, un Hitler credibile e inquietante, gira per la Germania e mostra le reazioni della gente al passaggio del criminale nazista. Sotto la Porta di Brandeburgo, ad esempio, vengono scattate foto e selfie con il braccio destro alzato, in giro per le strade di Berlino e Monaco c’è chi gli mostra il dito medio, c’è chi lo abbraccia e chi, addirittura, si commuove. Ma, cosa più inquietante, i discorsi di Hitler sull’immigrazione e sui lager raccolgono aperture e consensi, non solo fra gli esponenti più estremisti di destra (uno dei quali, credendo spenta la telecamera, confessa: ‘Se fosse il vero Hitler, la seguirei’).
LA REAZIONE DEI TEDESCHI - ‘Gli africani che arrivano qui hanno un quoziente intellettivo di 40 o 50, mentre il nostro è di almeno 80. E questo abbassa la media del Paese’, tenta di convincerlo un signore con i baffi. ‘A noi tedeschi non è permesso dire nulla, per quello che è successo in passato, ma non è giusto’, lo incalza un altro anziano. Ad Adolf basta sorridere, annuire e rafforzare la tesi dell’interlocutore: ‘Mi meraviglio che non siate andati ancora con le fiaccole e i forconi in Parlamento’, dice a un ragazzo pronto a seguirlo ‘ma non ora, devo andare al lavoro’. C’è anche chi lo critica, come un passante che gli urla in faccia: ‘Non fa onore alla Germania che una persona possa girare liberamente vestito da Hitler. Potessi farlo, la caccerei subito’.
IL RISCHIO DA EVITARE - Insomma, da film grottesco, ‘Lui è tornato’ si trasforma in esperimento sociologico. Il rischio – che fu evidenziato anche all’uscita del romanzo, pur radicalmente diverso nello sviluppo – è quello di creare empatia con il Fürer, di renderlo in qualche modo simpatico. Ma, dopo un primo momento di spiazzamento, questo confronto continuo con la realtà permette al regista di dribblare la critica, puntando il dito sulla facilità con cui l’ideologia nazista potrebbe affondare di nuovo le radici. E, alla fine, è proprio Hitler ad ammettere che l’odio razziale, il populismo montante e le tensioni del mondo contemporaneo sono ‘un buon punto di partenza’ per un nuovo Reich.