Ci sono bambini che non sono influenzati per niente dalla visione di spot pubblicitari riguardanti il cibo e altri che, anche solo a vedere lo spot di un fast food, sono molto invogliati a chiedere di consumare lo stesso cibo visto in TV. Uno studio condotto presso il Brain Imaging Laboratory del Dartmouth College e pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences ha messo in evidenza che i bambini geneticamente predisposti allo sviluppo di obesità evidenziano una maggiore attività nei centri di ricompensa del cervello, in risposta alla visione di spot pubblicitari sul cibo venduto nei fast food. Proprio questa potrebbe essere la spiegazione che induce alcuni bambini a mangiare troppo.
LO STUDIO
In questo lavoro di ricerca gli studiosi hanno valutato in che modo il cervello di bambini di età compresa fra 9 e 12 anni, quindi in pieno sviluppo, risponde alla visione non di singole immagini di cibo, ma di interi spezzoni, proprio per simulare quello che succede normalmente mentre guardano la TV a casa. Nello specifico i bambini, mentre si sottoponevano a un esame strumentale per vedere quali aree cerebrali si accendevano, hanno visto un filmato di 12 minuti, composto per metà da spot legati al cibo venduto nei fast food e per l'altra metà da spot di prodotti non alimentari. In precedenza per questi bambini era stata attentamente valutata la predisposizione genetica all'obesità.
CONCLUSIONI
Gli autori dello studio sapevano già, da lavori condotti precedentemente, che i bambini geneticamente predisposti all'obesità, tendono a mangiare più di quanto dovrebbero, soprattutto dopo aver visto spot pubblicitari in TV riguardanti il cibo, anche se non sono affamati. Le scansioni cerebrali effettuate in questo specifico lavoro di ricerca, hanno evidenziato la vulnerabilità del cervello di questi bambini verso il cibo. Di conseguenza, limitare la visione degli spot pubblicitari potrebbe rappresentare una valida strategia per diminuire la loro assunzione di cibo.
Lunedì 4 Novembre 2024
ArchivioBambini e spot pubblicitari, il fattore obesità