Roma, 17 gennaio 2017 - Un bambino aggressivo, incapace di legare con gli altri, ha bisogno di tante attenzioni. Sono casi delicati, definiti ADHD (acronimo che deriva dall’inglese Attention Deficit Hyperactivity Disorder). Per molti medici gli adolescenti iperattivi, facili alle distrazioni e trascurati, possono diventare adulti problematici. Per altri esperti c’è invece un eccesso di allarmismo. In Italia il disturbo riguarda l’1% dei bambini e adolescenti tra 6 e 17 anni, 75mila casi potenzialmente da prendere in carico da parte del Servizio sanitario nazionale. Solo un utente su due riesce ad accedere ai servizi di neuropsichiatria per l’infanzia e l’adolescenza, solo uno su tre ottiene interventi terapeutico-riabilitativi, solo uno su dieci riesce a effettuare il passaggio a un servizio per l’età adulta. Ma il dibattito su queste problematiche, compreso l’utilizzo di farmaci, è aperto.
«In classe stava come un leone in gabbia». «Per gli insegnanti, l’alunno è irrecuperabile e violento, per cui nessuno lo vuole». «Sai mamma, è come se avessi due cervelli». Storie vere, messaggi che Aifa, l’associazione delle famiglie ADHD, riceve ogni giorno. «Abbiamo situazioni drammatiche – dice Patrizia Stacconi, presidente della Onlus –, genitori costretti a chiedere prestiti per pagare le terapie, figli tolti alle famiglie. Certe battaglie, poi, hanno lasciato ferite profonde, ad esempio quando si diceva che la malattia è inventata per vendere farmaci. Invece posso dire, anche come madre, che questo è un disturbo purtroppo reale e diffuso. Le terapie non farmacologiche, d’altro canto, sono quasi inesistenti. Si fa fatica a ottenere un intervento cognitivo-comportamentale nella struttura pubblica. E accade ovunque, dalla Valle d’Aosta alla Sicilia».
L’ADHD è caratterizzato da continue disattenzioni, reazioni incontrollabili, fatica a stare fermi. Nelle scuole può essere un problema serio, ma su questi temi c’è un’attenzione crescente. Silvio Garattini, istituto Mario Negri, raccomanda la diagnosi precoce. Altrimenti i casi trascurati si complicano, fino a sfociare in comportamenti trasgressivi. Ma quali sono le cause dell’ADHD? Per gli esperti c’è una componente genetica, un difetto nei circuiti che regolano l’autocontrollo. Se si sottopone il bambino ai test di attenzione, la risonanza magnetica evidenzia aree del cervello differenti rispetto a chi non ha questo deficit. Entrano in gioco anche fattori esterni, una mamma esposta a fumo e alcol durante la gravidanza, traumi infantili, una storia di abbandoni e abusi subiti da piccoli, prima di andare in adozione. Alessandro Zuddas ordinario di Neuropsichiatria infantile, spiega che i bambini stentano a selezionare gli stimoli, si deconcentrano facilmente, per cui faticano a concludere i compiti. La percezione del tempo è tale per cui un breve rimprovero viene vissuto come interminabile: il bimbo non ti ascolta e si mette a fare altro. Altre volte il ragazzo è come demoralizzato, non avverte gratificazioni, fa saltare i nervi agli adulti, e in questo caso si parla di disturbo oppositivo provocatorio. «Nella conferenza di consenso che si è tenuta a Cagliari nel 2003 avevamo definito vari aspetti legati all’organizzazione di servizi di cura efficienti per tutta la psicopatologia dell’età evolutiva – dice Zuddas – ma meno della metà dei centri sono veramente funzionanti. C’è un’estrema disparità tra regioni, liste di attesa dappertutto. Sappiamo che le sole misure psicoeducative in assenza del farmaco, quando questo è indicato, risultano inefficaci, eppure c’è un tasso di prescrizione irrisorio, persino in regioni come la Lombardia o l’Emilia Romagna dove i servizi dovrebbero essere meglio organizzati, mentre si assiste a una migrazione di pazienti, ad esempio verso il Veneto». Un quadro critico confermato da Michele Margheriti, presidente nazionale Aidai (associazione di medici, psicologi, educatori): «Noi riceviamo tante richieste di aiuto, tante famiglie che lamentano di non aver ottenuto una presa in carico da parte dei servizi. Le diagnosi di ADHD crescono anche perché dieci anni fa praticamente non si facevano, scontiamo in Italia un grande ritardo. Ultimamente si sono fatti grossi progressi, ma c’è tanta strada da fare, le risorse, se esistono, sono utilizzate male. E pochi o nessuno vogliono dare farmaci, eppure ci sono situazioni in cui il farmaco è assolutamente risolutivo, posso dirlo senza conflitto d’interessi, io sono psicologo e i farmaci nemmeno li prescrivo».
Tanti bambini iperattivi con deficit di attenzione sono a rischio di diventare adulti con problemi di inserimento sociale. Lo ha denunciato Claudio Mencacci, presidente della Società italiana di psichiatria e direttore di Neuroscienze all’Ospedale Fatebenefratelli di Milano, in occasione di un simposio promosso da Shire: «Questi bambini – spiega lo psichiatra – hanno un disturbo neurologico, nel 50% dei casi ereditario, non controllato, che può causare forme di asocialità o di delinquenza nell’età adulta». «Nel 70% dei casi – conclude il professor Mencacci – il miglioramento dipende anche dall’integrazione del trattamento cognitivo-comportamentale con i farmaci». «I pediatri devono affrontare il problema – aggiunge Paolo Curatolo, del policlinico di Roma Tor Vergata – quando le mamme indicano i sintomi. I consigli di comportamento e i primi trattamenti cognitivo-comportamentale innescano meccanismi difensivi che portano nel 34% dei casi un miglioramento». Nei deficit di attenzione insomma, le difficoltà si sommano ai pregiudizi. Ma i familiari con casi di ADHD non mollano. «Ci auguriamo che siano presto emanate le linee guida dell’Istituto superiore di sanità, come promesso al ministero, e a cascata che si affronti il nodo della conferenza Stato Regioni. La nostra battaglia è parallela a quella delle famiglie con problemi di autismo – dice la presidente Aifa – loro sono più avanti, noi ci ispiriamo alla loro organizzazione, Angsa. Non so quanti anni ancora ci vorranno, per ottenere il riconoscimento delle cure, ma ci arriveremo».